Cap. 20 – LA FARMACIA DEI SERVIZI SUPPORTO ALLA PROMOZIONE DELLA SALUTE E ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

Capitolo del Manuale per operatori “Educare alla Salute e all’Assistenza”

Autore: Andrea Mandelli

Indice

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Il farmacista, in particolare quello di comunità, trova nell’educazione terapeutica uno dei principali ambiti di intervento. Lo si può evincere dalla stessa definizione dell’educazione terapeutica stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), cioè la parte dell’educazione sanitaria, svolta da professionisti opportunamente formati, finalizzata a mettere il paziente o chi lo assiste nella condizione di gestire il trattamento prescritto, prevenire le complicanze evitabili, conservando o migliorando la propria qualità di vita, così da apportare “un effetto terapeutico aggiuntivo a quello di tutti gli altri interventi (terapia farmacologica, terapia fisica, eccetera)” (OMS, 1998). In questa definizione sono sottese dunque alcune delle prerogative professionali (OMS, 1994) centrali per il farmacista: “assicurare terapie farmacologiche ottimali, sia contribuendo alla preparazione, distribuzione e controllo del farmaco, sia fornendo informazioni e indicazioni a chi deve prescrivere farmaci e a chi deve assumerli”.

Nel caso del farmacista della farmacia di comunità, che sempre l’OMS ricorda essere il professionista della salute più facilmente accessibile alla popolazione, questa finalità di fondo ha portato ad ampliarsi il ruolo di consulenza nei confronti del paziente, a proposito del farmaco ma anche a proposito di una gamma sempre più vasta di prodotti finalizzati alla salute: dai dispositivi medici alle strumentazioni per autodiagnosi, dagli integratori nutrizionali agli alimenti speciali. Ma soprattutto viene sottolineato il suo ruolo nel processo di cura per aspetti centrali quali il controllo delle conoscenze e della comprensione del paziente a proposito della finalità e delle modalità della terapia prescritta (dosi, orari, vie di somministrazione) e, in collaborazione con il curante e gli altri attori del processo di cura, il monitoraggio dell’aderenza alla prescrizione stessa ivi compresa, in alcuni paesi e in alcune situazioni, anche la valutazione della risposta al trattamento.

Diverse pubblicazioni hanno sottolineato questi aspetti, sottolineando anche come al farmacista si rivolga una parte della popolazione difficilmente intercettata dal Medico di Medicina Generale (MMG). Ricerche farmacoepidemiologiche svolte nella Confederazione Elvetica hanno rilevato che se il 45% del campione indagato non si rivolge praticamente mai al medico, soltanto il 16% non si è mai rivolta al farmacista di fronte a un problema di salute, non necessariamente legato all’impiego di un farmaco. È evidente che il riconoscimento del sintomo da parte del farmacista non lo autorizza a porre una diagnosi al di là da quanto previsto nell’ambito dell’automedicazione, ma può ben costituire la base dai cui partire per l’ orientamento del paziente e il rinvio al curante (Rosset, 2006).

Va infine considerato un altro aspetto: il farmacista di comunità è spesso l’ultimo professionista della salute con cui entra in contatto il paziente prima di restare “solo con il farmaco”, cioè prima dell’inizio del trattamento.

Di qui la necessità che il farmacista provveda a rinforzare e integrare, nell’ambito delle sue competenze, le indicazioni che il curante dà al paziente prima della dispensazione. Come ribadito dalla letteratura, non si tratta soltanto di fornire nozioni tecniche al paziente – come il corretto uso dei device dei farmaci antiasmatici, per esempio – ma anche di dare modo al paziente di esprimere i suoi motivi di preoccupazione, e di valutare la sua effettiva comprensione della malattia e della terapia e le sue aspettative. Un’opera che oggi viene a volte semplificata, ma molto più spesso complicata, dalla grande accessibilità di informazioni di carattere medico-scientifico di valore diseguale, spesso controproducenti soprattutto attraverso i nuovi media. È sempre più evidente il peso che ha Internet nella diffusione di timori infondati verso questa o quella classe di farmaci (è il caso della cosiddetta corticofobia, frequente tra i pazienti affetti da condizioni dermatologiche, che viene indicata come uno dei fattori alla base della non compliance) (Mueller, 2017) o nell’ostilità preconcetta verso alcune pratiche quali la vaccinazione (cfr. capitolo 12).

È altresì evidente che la pratica dell’educazione terapeutica si intreccia strettamente con la pharmaceutical care, così come definita in letteratura (Hepler, 1990) e adottata dall’OMS. Da sempre il farmacista di comunità italiano ha adottato, sia pure con un approccio empirico, questa filosofia di intervento professionale, e da tempo la Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (FOFI, 2016) ha promosso l’evoluzione del ruolo professionale in questa direzione, operando per ottenere strumenti normativi adeguati a realizzare un nuovo modello di intervento del farmacista sul territorio ma anche nell’ospedale, come illustrato nel documento federale sulla professione presentato nel 2016 (FOFI, 2006). Parallelamente la Federazione ha anche sostenuto direttamente la sperimentazione di nuove modalità di intervento nel setting della farmacia di comunità.

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LA FARMACIA DEI SERVIZI

Con la Legge 69/2009 (cd “Legge sulla farmacia dei servizi”) e il successivo DLgs 153/2009, sono state gettate le basi per la possibilità di erogare, codificare e standardizzare le prestazioni della pharmaceutical care e, di conseguenza, di educazione terapeutica sulla base del vissuto della malattia del singolo paziente. La legge parte dalla constatazione che la capillarità della rete delle farmacie e la possibilità di interagire con tutti i professionisti sanitari operanti sul territorio (MMG, PLS, specialista, infermiere, ostetrica, ecc.), consenta al farmacista di comunità di poter svolgere un ruolo importante nel processo di cura del singolo paziente, in base alle indicazioni del curante, così come nella prevenzione attraverso iniziative rivolte alla popolazione generale. Infatti la normativa prevede programmi di educazione sanitaria e promozione vaccinale, campagne di informazione sulle principali patologie a forte impatto sociale rivolte alla popolazione e ai gruppi a rischio, realizzate a livello nazionale o regionale; screening di popolazione (come nel caso del carcinoma del colon-retto). E accanto a questi prevede servizi di II livello rivolti ai singoli assistiti su indicazione del medico, in coerenza con le linee guida e i percorsi diagnostico-terapeutici previsti per le diverse patologie, ed iniziative volte a garantire il corretto utilizzo dei medicinali prescritti e l’aderenza dei malati alle terapie farmacologiche, anche attraverso la partecipazione a specifici programmi di farmacovigilanza.

È evidente, ed è un riconoscimento importante, che qui si indica chiaramente che l’attività della farmacia dei servizi è inserita in un contesto multidisciplinare. Indicazione che viene ulteriormente rinforzata dalla previsione di legge che nella farmacia possano operare altre figure di professionisti della salute quali l’infermiere e il fisioterapista, così come la previsione di integrare il farmacista all’interno dell’equipe dell’Assistenza Domiciliare Integrata. È opportuno riportare quanto si può leggere a questo riguardo nelle linee di indirizzo elaborate dal Comitato ad hoc istituito presso il Ministero della Salute: “Un’area di particolare importanza afferisce alla gestione e compartecipazione con altri operatori sanitari alla realizzazione dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e alla gestione delle patologie croniche, secondo lo spirito della Legge 69/2009 e i successivi decreti attuativi. La presenza dell’infermiere, del fisioterapista, delle analisi di prima istanza e delle apparecchiature diagnostiche di secondo livello introdotti in Farmacia con i decreti attuativi, nel porre la stessa al centro della unità territoriale della salute, richiedono al farmacista maggiori conoscenze e nuove abilità nella comunicazione e nella relazione d’aiuto del paziente. Il successo di questa sfida dipenderà soprattutto dalla disponibilità e dalla capacità del singolo farmacista a rendersi interprete e fautore di questi nuovi cambiamenti” (Ministero della Salute, 2012).

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L’EDUCAZIONE TERAPEUTICA COME ELEMENTO FONDAMENTALE DELLA PHARMACEUTICAL CARE

Quanto finora esposto, e la forte motivazione dei farmacisti italiani a riorganizzare la pratica professionale in base ai principi della pharmaceutical care, ha trovato una chiara dimostrazione nei risultati del Progetto I-MUR (Italian Medicine Use Review) promosso e sostenuto dalla FOFI, che è stato condotto in partnership con la Medway School of Pharmacy dell’Università del Kent, sotto la guida del Professor Andrea Manfrin, e con la collaborazione dei Dipartimenti di Farmacia delle Università di Padova, con la Professoressa Laura Caparrotta, e di Torino, con la professoressa Paola Brusa.

La Medicine Use Review (MUR) consiste in un’intervista al paziente volta ad accertare se la sua conoscenza di malattia e trattamento è adeguata, se vengono seguite le indicazioni del medico, se i farmaci vengono usati nel modo corretto, se il paziente attua comportamenti potenzialmente pericolosi (per esempio assunzione di altri medicinali controindicati per il suo stato o con potenziali interazioni con il trattamento) se – in ultima analisi – è a suo agio con le cure prescritte o si presentano problemi potenzialmente legati alla terapia o Pharmaceutical Care Issue (effetti collaterali del farmaco, impossibilità di seguire gli orari prescritti, difficoltà a usare device, per citarne alcuni). Lo scopo di questa prestazione può essere riassunto in due punti:

  1. Aumentare informazione e consapevolezza del paziente per ottenere la concordanza con i professionisti della salute che attuano il processo di cura e la presa in carico del paziente;
  2. Migliorare la compliance/aderenza del paziente aumentando così l’efficacia delle cure e riducendo i costi connessi all’uso improprio del medicinale e al fallimento terapeutico.

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IL PROGETTO I-MUR: ITALIAN MEDICINE USE REVIEW

Il progetto federale si è articolato in tre fasi:

  • Luglio 2012 – Aprile 2013 – Realizzazione di uno studio pilota per valutare la fattibilità della MUR nella farmacia italiana, utilizzando l’asma come modello (Province di Brescia, Pistoia, Torino, Treviso) (Manfrin, 2013)
  • Ottobre 2013- Gennaio 2014 – Valutazione del feedback dei pazienti e visione del MMG sul servizio MUR erogato nel corso del progetto pilota (Manfrin, 2014; Krska, 2014)
  • Giugno 2014- Luglio 2015 – Valutazione dell’impatto clinico e farmacoeconomico dell’Italian Medicine Use Review attraverso uno studio multicentrico randomizzato e controllato (studio Re I-MUR). (15 regioni) (Manfrin, 2017).

La scelta del MUR è stata determinata da diversi fattori, ma innanzitutto perché si tratta probabilmente del servizio cognitivo della farmacia di comunità più diffuso nell’Occidente industrializzato e in Inghilterra è stato inserito nel contratto delle farmacie quale prestazione avanzata già dal 2005, incontrando un notevole successo (nel periodo aprile 2016/Marzo 2017 sono stati erogati 3.205.116 MUR dai farmacisti di Inghilterra e Galles). Inoltre, la sua applicazione prevede tanto una forte interazione con il paziente quanto un rapporto diretto con il curante. La scelta dell’asma come modello è stata determinata dalla diffusione di questa patologia, dalla possibilità di valutare in tempi relativamente brevi gli end-point previsti (miglioramento dell’aderenza, miglioramento del controllo della malattia), dalla bassa percentuale di pazienti asmatici aderenti alla terapia (14,3%) (AIFA, 2014).

Particolarmente interessanti, rispetto al tema dell’educazione terapeutica, i risultati ottenuti nello studio pilota, che ha coinvolto 80 farmacisti e un totale di 898 pazienti. Anche se durante l’esecuzione del MUR il 78% dei pazienti (n=690) ha detto di avere una piena conoscenza della malattia e dei trattamenti prescritti, il 21% (n=188) una conoscenza parziale e soltanto l’1% (n=10) non sapeva rispondere, i farmacisti hanno identificato 226 casi in cui era necessaria un’opera di educazione del paziente, 200 che richiedevano un monitoraggio e 152 casi di discrepanza tra dose prescritta e dose assunta. Quanto all’aderenza alla terapia, il 54% del campione dichiarava di non aver dimenticato-omesso un’assunzione né di aver cambiato l’orario di assunzione, tuttavia, il 45% (n=401) ha detto di averlo fatto (indicando così una potenziale non aderenza alla prescrizione) e il 3% (n=30) non sapeva rispondere. L’ultima dimenticanza-omissione si era verificata: il giorno prima per il 9% (n=58), durante la settimana corrente per il 12% (n=74), la settimana precedente per il 12% (n=77), il mese prima per il 12% (n=75), ma il 54% (n=339) non ricordava quando si fosse verificata (un altro indicatore di potenziale non aderenza). I farmacisti hanno fornito indicazioni alla maggior parte dei pazienti: informazioni sui farmaci (n=622), invito a ritornare dal curante (n=346) e altre ancora (n=195) come aggiungere un distanziatore o cambiare metodo di assunzione (n=119), modificare la dose riportandola a quella prescritta (n=84), modificare il momento dell’assunzione (n=54), interrompere l’uso di farmaci da banco (n=37). I farmacisti hanno inoltre fornito consigli sullo stile di vita nelle seguenti aree: attività fisica (n=344), dieta e alimentazione (n=328), controllo del peso (n=236), cessazione del fumo (n=204), consumo di alcol (n=79), salute sessuale (n=11). Complessivamente, soltanto in 94 casi (il 10,5%) i farmacisti non hanno riscontrato la necessità di interventi correttivi.

Da questa necessariamente sintetica illustrazione, risulta che un intervento educativo si è reso necessario in una larga maggioranza dei casi. Tutti gli interventi del farmacisti, come da protocollo, si sono tradotti in oltre 1000 comunicazioni al medico curante.

L’opinione dei medici curanti sulla prestazione fornita è stata raccolta attraverso un focus group, per la cui realizzazione si ringrazia la Società Italiana di Medicina Generale, a cominciare dal presidente Dottor Claudio Cricelli e il vicepresidente Dottor Ovidio Brignoli. È emerso un generale consenso sul fatto che questa prestazione del farmacista potrebbe essere utilmente rivolta a specifici gruppi di pazienti: coloro cui sono prescritti cronicamente almeno tre medicinali o regimi terapeutici complessi, pazienti con polipatologia, anziani; uno dei MMG ha anche dichiarato che l’esecuzione dell’MUR dovrebbe accompagnare sempre la dispensazione di un medicinale da automedicazione. Al di là del giudizio positivo su questa particolare prestazione, i medici hanno suggerito che i farmacisti dovrebbero dedicare più tempo a educare il paziente su quando e come assumere i farmaci in modo ottimale e sulle potenziali ADR.

Tanto i farmacisti coinvolti nello studio pilota quanto i medici hanno concordato nell’indicare come criticità l’individuazione di modalità per migliorare il flusso delle informazioni e ridurre la burocrazia, sottolineando la necessità di giungere a una piattaforma condivisa tra medici e farmacisti. A quest’ultimo proposito, va segnalato che rispetto al MUR adottato nelle farmacie inglesi, che prevede la compilazione di un questionario a risposta libera, lo strumento adottato per la sperimentazione in Italia (I-MUR) è un’intervista strutturata, web-based e ospitata da una piattaforma che consente una completa analisi statistica in tempo reale, caratteristiche che, oltre a essere funzionali alle indicazioni espresse nei focus group, risolve una delle difficoltà incontrate dal MUR in Inghilterra, vale a dire la non omogeneità dei rilievi trasmessi dai farmacisti ai general practitioner.

L’ultima fase del progetto I-MUR ha provveduto a valutare l’efficacia dell’intervento del farmacista con l’esecuzione dell’I-MUR sul piano clinico (studio Re I-MUR).

Lo studio Re I-MUR, il più grande mai condotto nella farmacia di comunità sull’asma a livello globale, ha confermato le ipotesi di partenza. In sintesi, dopo l’intervento del farmacista, l’aderenza al trattamento migliorava del 35,4% a tre mesi e del 40,0% a sei mesi; la percentuale dei pazienti che mostravano un controllo adeguato dell’asma saliva dal 43,7% al 54,4% (valutazione ottenuta con la somministrazione dell’Asthma Control Test), cioè aumentava del 25%. Si assisteva inoltre a una razionalizzazione dell’uso dei medicinali: prima dell’intervento del farmacista il 43% dei pazienti utilizzava farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), potenzialmente controindicati, dopo il MUR la percentuale è scesa al 30% e, complessivamente, si è ridotto del 7,9% il numero dei principi attivi impiegati, segno di una razionalizzazione della terapia, condotta in collaborazione con il medico curante per quanto riguarda i medicinali soggetti a prescrizione e in autonomia dal farmacista per quanto riguarda i farmaci di automedicazione.

Anche in questo studio controllato, dunque, il Pharmaceutical Care Issue più frequentemente riscontrato era l’inadeguata informazione/comprensione della terapia farmacologica prescritta e più in generale dell’uso dei medicinali.

Per completezza, secondo la valutazione economica condotta nello studio, affidata alla London School of Economics, il risparmio generato dall’MUR per ciascun paziente varia da €86,96 l’anno dell’ipotesi più conservativa ai € 296,76 l’anno dello scenario con i costi maggiori.

Il Progetto I-MUR conferma pertanto la possibilità, anche nel setting dell’organizzazione territoriale italiana, di realizzare servizi avanzati da parte della farmacia di comunità, con risultati misurabili, nei quali l’educazione terapeutica ha un ruolo fondamentale, in collaborazione con gli altri professionisti della salute.

Il MUR, come le altre prestazioni volte a supportare l’aderenza alla terapia, presuppone la presa in carico del paziente a seguito dell’invio del paziente da parte del MMG o dell’autorità sanitaria territoriale, ma questa non è l’unica modalità in cui è possibile avviare un processo educativo. Ogni giorno, infatti, accedono alle 18.549 farmacie italiane mediamente 4 milioni di cittadini, 800 mila dei quali, si stima, si rivolgono al farmacista quale consulente (Federfarma, 2016). Si tratta di una platea enorme, che offre la possibilità di effettuare una serie di iniziative dove anche un intervento minimale può portare a risultati di rilievo. È quanto suggerisce, per esempio, il rapporto commissionato dalla National Pharmacy Association, pubblicato nel novembre 2017. Tra gli esempi riportati, si legge che se tutte le farmacie di comunità del Regno Unito proponessero ogni giorno a un solo paziente una breve intervista e un test semplice come la misurazione della pressione arteriosa, si potrebbero esaminare 3.000.000 di persone l’anno e intercettare 750.000 persone con ipertensione non diagnosticata (Noyes, 2017).

Un’ulteriore esperienza italiana che si inserisce in questa prospettiva, e che ha contribuito anche a una maggiore conoscenza del comportamento del paziente, è la survey condotta nelle farmacie del Piemonte in merito al comportamento dei pazienti affetti da emicrania. Scopo della ricerca era identificare tra i pazienti che si rivolgono al farmacista in occasione di un attacco di mal di testa senza precedente indicazione del medico, quali erano sicuramente o probabilmente affetti da emicrania e indagare quali farmaci assumevano abitualmente e se per questa loro condizione erano seguiti o meno da un medico (di famiglia, specialista, centro di riferimento per l’emicrania, ecc). Da questa survey è emerso, per esempio, che quasi un terzo dei pazienti (29,2%) non si è affidata ad alcun professionista per la gestione di questo disturbo (Brusa, 2014).

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LA COMUNICAZIONE EFFICACE IN FARMACIA

Tra i farmacisti italiani, oggi, è ampiamente diffusa la consapevolezza di dover colmare il gap rispetto ai professionisti degli altri paesi nell’implementazione della pharmaceutical care in tutte le sue articolazioni, così come è diffusa la necessità di dotarsi di alcuni strumenti fondamentali. È innegabile che il farmacista italiano è stato finora formato in vista della dispensazione del medicinale, anche se l’atto della dispensazione non è mai stata una “semplice consegna del prodotto”, mentre oggi è necessario orientare la preparazione dei professionisti in funzione dell’erogazione di una prestazione. È una prospettiva differente, che richiede non soltanto l’acquisizione di sapere e saper fare, ma anche quella di specifiche skill, la prima delle quali è la capacità di stabilire un rapporto con il paziente funzionale all’ottenimento del risultato. Nel caso dell’educazione terapeutica è ovviamente centrale il linguaggio. Spesso si è insistito sulla necessità di semplificazione, di abbandono dei tecnicismi e di altri aspetti analoghi. In realtà le necessità sono più complesse, soprattutto nel setting della farmacia, dove il professionista si confronta con persone la cui health literacy può variare significativamente (Ministero della Salute, 2012), il linguaggio più diretto ed efficace è quello che tiene conto del grado di informazione dell’interlocutore. Un eccesso di semplificazione potrebbe suonare per qualcuno un atto di paternalismo, tanto negativo negli effetti quanto un “discorso” eccessivamente tecnico. Questo aspetto, nella formazione del farmacista, è in larga misura da costruire, attraverso la riforma del corso di laurea ma soprattutto, nell’immediato, attraverso la formazione post-laurea. Altrettanto importante è la comunicazione tra i diversi professionisti coinvolti nel processo di educazione terapeutica e, a più forte ragione, nel processo di cura e nella presa in carico del paziente.

Al riguardo poco si può aggiungere a quanto concluso nelle sue linee guida dal “Gruppo di lavoro Implementazione della qualità e sicurezza dei servizi assistenziali erogati nelle Farmacie di comunità”.

La comunicazione inter e intra-professionale è la base dell’integrazione tra professionisti e pre-requisito per la sicurezza e la continuità delle cure poiché è trasversale a tutte le prestazioni e alle transizioni che riguardano i processi di presa in carico e di cura delle persone assistite. I presupposti per una buona strutturazione della comunicazione sono:

  • un linguaggio comune per dare significato ai contenuti della comunicazione stessa, orientare il processo di interpretazione e guidare l’elaborazione dei medesimi (il significato di una comunicazione è nella risposta che si riceve);
  • un sistema informativo finalizzato a fornire le informazioni migliori in termini di selettività, associazione e gestibilità a tutti coloro che ai diversi livelli sono responsabili delle decisioni. Gli strumenti informativi sia a scopo integrativo sia a supporto dei processi decisionali orientati alla persona assistita (documentazione clinica), ai singoli gruppi di pazienti (Percorsi clinico-assistenziali), alle singole attività (procedure, protocolli), devono essere completi e formalizzati, oltre che opportunamente strutturati, per: a) promuovere la continuità, la personalizzazione e la documentazione dei processi di presa in carico e di cura; b) sostenere l’integrazione tra operatori sanitari; c) evidenziare gli ambiti di responsabilità degli operatori sanitari.

Se il sistema informativo qui descritto non potrà che concretizzarsi con l’implementazione, del Fascicolo Sanitario Elettronicocomprensivo del Dossier Farmaceutico curato dal farmacista, la collaborazione interprofessionale richiede soprattutto che i rapporti tra gli attori del processo di cura si intensifichino sulla base di obiettivi condivisi che vedano al centro il paziente.

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Glossario
  • ADR: Adverse Drug Reaction
  • FANS: Farmaci Antiinfiammatori Non steroidei
  • FOFI: Federazione Ordini Farmacisti italianai
  • I-MUR: Italian Medicine Use Review
  • MMG: Medico di Medicina Generale
  • MUR: Medicine Use Review
  • OMS: Organizzazione Mondiale della Sanità

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Bibliografia
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  • Brusa P, Allais G, Bussone G et al. (2014). Migraine attacks in the pharmacy: a survey in Piedmont, Italy. Neurol Sci. 2014 May;35 Suppl 1:5-9
  • Federfarma. La farmacia italiana 2016. Disponibile online: https://www.federfarma.it/Documenti/farmaci_italiana2016.aspx
  • FOFI. La Federazione degli Ordini dei farmacisti e la professione di farmacista. Roma 26 ottobre 2006.
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