Cap. 17 – L’integrazione sociosanitaria e la gestione della cronicità e della complessità assistenziale

Capitolo del Manuale per Operatori di Sanità Pubblica “Governare l’Assistenza Primaria

Autori: Mariadonata Bellentani, Modesta Visca, Giulia Silvestrini, Gianfranco Damiani

Indice del capitolo:

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Lo scenario di cambiamento è stato precedentemente delineato individuando i fattori che stanno modificando il rapporto tra bisogno/domanda di salute e offerta dei servizi, tra cui il cambiamento della struttura familiare, il graduale incremento della prevalenza delle patologie cronico degenerative, il potenziamento della medicina e della tecnologia.

Una delle sfide dei sistemi sanitari del mondo industrializzato consiste nel garantire assistenza integrata efficace ed appropriata per la presa in carico di persone con bisogno sociosanitario complesso, come le persone in condizioni di non autosufficienza parziale o totale o affette da più di una patologia cronica. Le sfide di salute emergenti comprendono l’impatto delle malattie trasmissibili e non trasmissibili, l’invecchiamento della popolazione, l’aumento dei costi delle cure epidemie ed altre crisi sanitarie come anche l’urbanizzazione e la tendenza a stili di vita non salutari. Sfide sostenute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dalla Comunità Europea tramite lo sviluppo di strategie volte ad assicurare l’accesso all’assistenza per tutti, un elevato grado di qualità e la sostenibilità finanziaria del sistema e, inoltre, la valorizzazione del ruolo della famiglia e della comunità nell’ambito delle politiche di sviluppo di servizi sanitari integrati centrati sulla persona.

Emerge di frequente una difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari territoriali e di conseguenza un tardivo riconoscimento dei bisogni di salute individuali. Ugualmente problematiche sono le fasi di individuazione del percorso assistenziale più appropriato per rispondere ai bisogni di salute dell’individuo e del coordinamento organizzativo di tale percorso. Tutti questi aspetti rientrano in un contesto di riorganizzazione della rete dei servizi orientata alla Primary Health Care (PHC).

Autorevoli dichiarazioni e indirizzi di politica sanitaria, prima fra tutte la Dichiarazione Universale di Alma Ata del 1978, ripresi dai maggiori esperti del settore come Barbara Starfield nel report “A Manpower Policy for Primary Health Care: Report of a Study” dell’Institute of Medicine (IOM) e supportati da molte altre evidenze scientifiche, sostengono che la chiave per affrontare i problemi della salute della popolazione del terzo millennio consiste nel rafforzare decisamente il sistema dell’Assistenza Primaria[1]. L’assistenza sanitaria primaria intesa come il complesso delle attività e delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie dirette alla prevenzione, al trattamento delle malattie e degli incidenti di più larga diffusione e di minore gravità e delle malattie e disabilità ad andamento cronico, quando non necessitano di prestazioni specialistiche di particolare complessità clinica e tecnologica” (Guzzanti 1985).

Sin dal 2009 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO) ha sollecitato miglioramenti dell’Assistenza Primaria e il rafforzamento di sistemi sanitari universali, integrati, centrati sulla persona a cui si sono aggiunte considerazioni sull’organizzazione finanziaria sostenibile dei servizi. Tali concetti sono stati di recente ribaditi nella 69° Assemblea mondiale di sanità tenutasi a Ginevra il 23-28 maggio 2016 e presentati attraverso framework europeo di azione per un’offerta integrata dei servizi[2] in cui si punta al perseguimento e adozione di strategie interdipendenti, quali appunto il coinvolgimento collaborativo delle persone e delle comunità, il rafforzamento dei sistemi di governance e responsabilizzazione degli attori coinvolti, l’investimento sulla formazione e le competenze dei professionisti, la riorganizzazione del modello di assistenza, il coordinamento ben delineato dei servizi in e tra settori, un approccio culturale che favorisca il cambiamento.

La PHC può essere, infatti, considerata un Sistema Adattativo Complesso, nel momento in cui è in grado di sviluppare capacità tali per cui riesca ad adattarsi alla complessità ambientale, modificandosi di volta in volta, e promuovendo risposte sempre più adeguate alle esigenze poste in essere dall’ambiente che la circonda[3].

Tale sistema complesso nel nostro Paese deve garantire ai cittadini il soddisfacimento dei Livelli Essenziali di Assistenza distrettuali all’interno di una governance pubblica.

La necessità di cambiamento nell’approccio all’assistenza e all’organizzazione dei servizi sanitari comporta, in un’ottica di miglioramento della qualità dell’assistenza per una migliore governance del sistema, sia l’esigenza di valutare quello che si è implementato, sia di rendere conto dei risultati ottenuti (responsabilizzazione).

Il Distretto, così come previsto dal D.Lgs 502/92 e smi, inserito in un contesto di Primary Health Care rappresenta lo snodo strategico naturale per il processo di integrazione socio-sanitaria ed interistituzionale, per la riorganizzazione del sistema di offerta di prestazioni sanitarie. Il Distretto opera in tal senso come soggetto facilitatore nella costruzioni di reti formali ed informali di assistenza, in forte integrazione con i servizi sociali.

Nonostante le differenze sulle politiche, i finanziamenti, le infrastrutture e i meccanismi di erogazione, i Paesi si trovano comunque ad affrontare sfide simili all’interno della Long Term Care – LTC (Figura 1) e a tentare di risolvere problematiche quali la frammentazione dei servizi, la scarsa e non ottimale qualità, l’inefficienza del sistema e la difficoltà nel controllo dei costi.

Figura 1: Framework europeo di azione per l’offerta integrata dei servizi

Fonte WHO: Regional Office for Europe 2016

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Integrazione sociosanitaria nella Long Term Care e nella PHC: scenari di riferimento dalla letteratura

La struttura dei sistemi sanitari può influire nel migliorare l’efficienza e la qualità dell’assistenza ai pazienti. L’attenzione è stata focalizzata su un approccio al sistema nella sua globalità (whole-system), per fare in modo che i diversi settori, le istituzioni e gli erogatori dei servizi lavorino simultaneamente all’interno delle iniziative intraprese nello specifico nell’ambito dell’integrazione sociosanitaria.

L’organizzazione del sistema sanitario è particolarmente complessa: l’assistenza deve essere coordinata e deve provvedere per lunghi periodi di tempo (spesso sono necessari anni e alle volte decadi) alla soddisfazione di questi bisogni. L’assistenza può essere di tipo sanitario sociale o sociosanitario; e molte delle risposte più appropriate per organizzare i servizi per le persone con bisogno sociosanitario complesso, spesso, vanno oltre i servizi sanitari puri, e sono rappresentati da servizi di supporto professionale e supporto per le famiglie dei pazienti.

L’erogazione di un’assistenza appropriata per gli anziani fragili e non autosufficienti richiede che si passi da interventi di breve periodo, episodici, ad interventi di lungo periodo per i soggetti che necessitino di una continuità assistenziale (MacAdam M, 2008).

Per supportare tale cambiamento, i Paesi sviluppati hanno fatto dell’integrazione dei servizi il processo chiave per migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria, l’accessibilità, l’efficienza e la sostenibilità finanziaria.

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Definizione e tipologie

Il termine “integrazione” è molto spesso utilizzato in letteratura sebbene non vi sia una definizione pienamente condivisa.

Kodner e Kyriacou definiscono l’integrazione come espressione di modelli organizzativi e tecnici designati per connettere, allineare e creare collaborazione all’interno e tra i settori clinico – assistenziali (cure e care), a livello finanziario e amministrativo, al fine di migliorare la qualità dei servizi erogati e la qualità della vita ed inoltre la soddisfazione degli assistiti e l’efficacia del sistema. (Kodner DL, 2000 e MacAdam M, 2008).

A livello finanziario ed amministrativo l’integrazione può avvenire attraverso programmi specifici per i diversi servizi, sia di acute care, sia di Long Term Care, mediante un’unica struttura organizzativa che abbia la totale responsabilità dell’allocazione e dell’autorizzazione di tutti i servizi sociosanitari.

L’integrazione, così come intesa nel paper elaborato da Leutz nel 1999, permette il collegamento tra l’assistenza sanitaria (tra cui quella per acuti, l’Assistenza Primaria e quella specialistica) e gli altri sistemi di assistenza rivolti alla persona, che interessano ad esempio la Long Term Care, la professione, la gestione della vita quotidiana, al fine di migliorare gli outcome, sia in termini di risultati clinici che di efficienza e soddisfazione. I soggetti con disabilità fisiche, di sviluppo o cognitive, e spesso con condizioni di malattie croniche correlate, traggono maggiormente beneficio dall’integrazione (Leutz WN, 1999). Il termine integrazione può riferirsi a diverse tipologie, livelli e forme.

Per quanto riguarda la tipologia, Leutz ipotizza 3 “tipi” di integrazione, che si distribuiscono su un continuum che spazia da un livello di integrazione molto basso ad un livello di integrazione totale:

  1. LINKAGE, si realizza tra unità organizzative/professionisti esistenti, senza dover ricorrere a sistemi esterni di regia (Leutz WN, 1999). I diversi professionisti e le organizzazioni, a cui si rivolge la popolazione di un dato territorio, continuano a svolgere le proprie funzioni in una situazione di sostanziale isolamento, in quanto i collegamenti con le altre organizzazioni del sistema sono deboli. Tali collegamenti si esprimono sostanzialmente nella disponibilità delle informazioni necessarie ad orientare l’assistito verso il servizio più appropriato, in caso di degenerazione del quadro clinico. Il principale meccanismo di integrazione è rappresentato dalle linee guida, universalmente riconosciute, da cui gli operatori possono estrarre le indicazioni in merito alle procedure cliniche da seguire (Ahgren B et al., 2005). I diversi professionisti coinvolti rispondono alla giurisdizione di appartenenza seguendone i criteri di eleggibilità, nel rispetto dei limiti finanziari e dei limiti operativi specifici della propria attività, con flussi finanziari separati rispetto alle organizzazioni con le quali interagiscono (Kodner DL et al., 2000). In tale tipologia l’informazione è fornita quando viene richiesta e viene richiesta solo in caso di bisogno (Masso M et al., 2009). Il linkage rappresenta, quindi, un approccio all’integrazione che richiede pochi cambiamenti e che opera nel contesto degli attuali sistemi frammentati e permette di fornire risposte ai bisogni lievi o moderati di ciascun assistito (Kodner DL et al., 2000).
  2. COORDINATION. In tale tipologia di integrazione, esplicite strutture e individui coordinano le prestazioni e l’assistenza attraverso diversi sistemi (Leutz WN, 1999). Il coordination si basa su una forma di integrazione più strutturata rispetto a quella proposta dal linkage ed opera in gran parte attraverso delle strutture separate all’interno del sistema assistenziale esistente: prevede, infatti, il coordinamento tra strutture reciprocamente autonome che compongono un dato sistema assistenziale. Tale tipologia opera attraverso lo sviluppo e l’implementazione di strutture e meccanismi appositamente definiti che gestiscono il processo assistenziale, al fine di rendere più accessibile l’ingresso al sistema, ridurre la frammentazione e la discontinuità all’interno del sistema e tra le diverse organizzazioni, in cui le informazioni sono condivise (Kodner DL et al., 2000). L’enfasi è posta sulla creazione di una infrastruttura in grado di gestire un ampio spettro di servizi per determinati gruppi di assistiti, mediante il finanziamento che può provenire da fonti diverse (sia governative che non governative, se il sistema sanitario ha un finanziamento misto pubblico-privato). L’integrazione agisce sul sistema delle procedure di valutazione, sul care management, sul piano di cura e team care, sul disease management. Il coordination richiede la condivisione delle informazioni, da definire mediante dei report elaborati sistematicamente (Masso M et al., 2009). La tipologia coodination attua, pertanto, un ribilanciamento dell’offerta dei servizi attraverso strutture e meccanismi che consentano di superare il gap tra i servizi e gli utenti, senza stravolgere il sistema esistente (Kodner DL, 2006).
  3. FULL INTEGRATION, la quale prevede la creazione di nuovi programmi o unità, in cui le risorse provenienti da sistemi multipli sono completamente unite (Leutz WN, 1999). La tipologia full integration permette di rivolgersi a gruppi di soggetti con bisogni sanitari e sociali estremamente complessi e si basa su una forma di integrazione totale delle responsabilità, delle risorse e dei finanziamenti all’interno di un unico quadro organizzativo; i flussi finanziari e i servizi sono infatti uniti e gestiti in modo unitario (Kodner DL et al., 2000). Tale tipologia si basa su una radicale riconfigurazione del sistema di erogazione, in favore della costituzione di un sistema atto a consentire la gestione interna dell’intero percorso assistenziale del paziente (Ahgren B et al., 2005). Full integration si basa su sistemi informativi clinici comuni, utilizzati quotidianamente nelle attività assistenziali (Masso M et al., 2009).

L’individuazione dei soggetti destinatari e della specifica tipologia di integrazione non è, tuttavia, facilmente ottenibile solo attraverso dati empirici: una possibile soluzione potrebbe derivare dall’analisi delle dimensioni dei bisogni e dei campi operativi dei sistemi di servizi (Leutz WN, 1999). Infatti, una tipologia è più o meno appropriata a seconda dei bisogni sanitari degli assistiti e pertanto non tutti gli individui necessitano del medesimo tipo di integrazione (MacAdam M, 2008).

In particolare, la dimensione bisogno include la stabilità e la gravità delle condizioni degli assistiti, la durata (breve, media, lunga), l’urgenza dell’intervento, la portata (numero e complessità dei servizi e delle prestazioni) ed infine la capacità di auto-gestione (self-direction) degli assistiti e dei familiari. È quindi evidente come i sottogruppi caratterizzati da una limitata capacità di auto-gestione e da condizioni di salute instabili, di lungo termine, gravi o urgenti, necessitino di una maggiore integrazione (Leutz WN, 1999).

La Tabella 1 confronta le tre tipologie di integrazione ipotizzate con i possibili campi d’azione dell’integrazione.

Successivamente nella Tabella 2 sono elencate le sei dimensioni del bisogno e sono forniti i profili che possono essere associati ad ogni tipo di integrazione.

Tabella 1: Tipologie di integrazione e campi di azione

Campi operativi

Linkage

Coordination

Full integration

Screening

Analisi e indagini generali sulle popolazioni per identificare i bisogni emergenti

Analizza i flussi in punti chiave, es. check al momento della dimissione ospedaliera, per identificare alla fonte il bisogno

Non è importante, se non per indirizzare in modo appropriato al servizio giusto (capacità di individuare i cambiamenti nel bisogno)

Clinical practice

Identifica e risponde ai particolari bisogni

Individua e utilizza le figure chiave (coloro che pianificano le dimissioni)

Team multidisciplinari gestiscono l’intero processo assistenziale

Transition/service delivery

Indirizza ad altri servizi e follow-up

Facilita i trasferimenti a setting assistenziali diversi e governa le responsabilità e le coperture dei servizi

Controlla o eroga direttamente l’assistenza in tutti i setting assistenziali

Information

È fornita quando richiesta; chiesta quando si ha bisogno

Sono definiti e forniti direttamente items/reports

Utilizzo di una scheda unica per la gestione comune e quotidiana dell’assistenza sia dal lato clinico che amministrativo

Case management

Nessuno

Case managers e staff di collegamento

Teams o “super” case manager gestiscono il processo assistenziale nella sua interezza

Finance

Si identifica chi paga per ogni servizio

Decide chi paga per casi specifici, altrimenti si seguono le linee guida

Tutte le risorse confluiscono in un fondo unico grazie al quale si acquistano da tutti i possibili provider i servizi, inclusi i nuovi

Benefits

Identifica e segue le regole di eleggibilità di copertura dei servizi

Gestisce i benefits per massimizzare l’efficienza e la copertura

Mette insieme i benefits, cambia e ridefinisce i criteri di eleggibilità

 

Tabella 2: Tipologie di integrazione e dimensioni del bisogno

Dimensioni del bisogno

Linkage

Coordination

Full integration

Gravità

Lieve/moderata

Moderata/grave

Moderata/grave

Stabilità

Stabile

Stabile

Instabile

Durata

Breve e lungo termine

Breve e lungo termine

Lungo termine o terminale

Urgenza

Routine/non urgente

Per lo più di routine

Frequenza urgente

Portata dei servizi

Limitata-moderata

Moderata-ampia

Ampia

Auto gestione della malattia Self-direction

Self-direction o informale

Diversi livelli di self-direction e informale

Debole self-direction e formale

Fonte: Leutz 1999

Nella tipologia linkage sono inizialmente identificati i bisogni emergenti della popolazione attraverso delle indagini o delle analisi di dati clinici e amministrativi. In questo ambito il medico si occupa di capire i bisogni di base delle diverse categorie di soggetti con disabilità ed il personale non medico stabilisce i vari collegamenti; nel momento in cui si identifichino delle condizioni più serie, i professionisti sono preventivamente consapevoli del luogo di cura più appropriato ed indirizzano quindi l’assistito presso altri sistemi, in modo da ricevere l’assistenza necessaria, fornendo, anche attraverso ulteriori analisi, qualsiasi informazione aggiuntiva richiesta (Leutz WN, 1999). Il soggetto destinatario del servizio è individuato preventivamente sulla base di determinati protocolli.

Il linkage rappresenta, infatti, il modo più appropriato per identificare nuovi bisogni e per iniziare ad integrare i servizi per la maggior parte dei soggetti con disabilità, i quali presentino lievi o moderate menomazioni e condizioni mediche e funzionali abbastanza stabili, riferite alla variabilità dello stato di salute, comunque tali da non richiedere interventi urgenti. I candidati possono ricevere i servizi sia nell’ambito della Long Term Care che in altri setting assistenziali e richiedono inoltre un debole livello di coordinamento e continuità dell’informazione. L’integrazione di tipo funzionale (semplice) è rivolta potenzialmente alla maggior parte della popolazione, qualunque essa sia, nonostante in questo caso il bisogno sia lieve e non grave rispetto alle altre tipologie (Leutz WN, 2005). Nel momento in cui aumenti la gravità o la complessità delle condizioni di salute dell’assistito, allora occorre passare ad una tipologia di integrazione più strutturata, quindi al coordinamento, in cui il personale deve interagire in modo diverso e non è più sufficiente la capacità di self-direction dell’assistito e dei suoi familiari (Leutz WN, 1999).

Nella tipologia coordination, i soggetti necessitano di un’interazione tra sistemi e/o setting assistenziali di natura differente, quali l’acute care e la Long Term Care, sia nel breve che nel lungo periodo.

I principali compiti svolti riguardano: il coordinamento dei servizi erogati; la condivisione delle informazioni cliniche fra i due setting in modo pianificato; la gestione dei passaggi tra le diverse unità organizzative; la definizione puntuale delle responsabilità al fine di coordinare l’assistenza.

Tale tipologia identifica quindi i punti di attrito, confusione e discontinuità tra i sistemi, nonché le strutture ed i processi per affrontare tali problemi.

Inoltre, la tipologia coordination può essere appropriata per un ampio range di soggetti con condizioni cliniche moderate o gravi, i quali ricevono servizi di breve o lungo termine e la cui assistenza è usuale, ma non sempre routinaria.

La tipologia full integration combina responsabilità, risorse e finanziamenti provenienti da vari settori sotto un unico “tetto”, creando un unico sistema di finanziamento, una gestione globale ed una erogazione dei servizi unificata (Kodner DL, 2006). Il livello di integrazione è molto più forte ed occorre che i professionisti interagiscano in modo più strutturato, e questo è ipotizzabile solo per un numero ristretto di assistiti (Leutz WN, 1999). I modelli “fully integrated” sono “annidati”, ossia costruiti sui servizi sanitari e sociali esistenti in una particolare area ma funzionano in maniera parallela a questi (Hébert R et al., 2003). Il budget su base capitaria costituisce solitamente una componente chiave di questi programmi e i servizi sono erogati da strutture gestite dal sistema o da enti esterni ad esso collegati mediante dei contratti (ospedali, assistenza sanitaria specialistica, istituzioni di Long Term Care).

Nel sistema coordination, (Hébert R et al., 2004) ogni organizzazione mantiene la propria struttura, ma accetta di partecipare ad un “umbrella system”, adeguando le attività e le risorse ai requisiti e ai processi concordati. MacAdam concorda con Leutz che a seconda del livello di continuità assistenziale di cui i soggetti necessitano, si ha bisogno di una tipologia di integrazione linkage (debole), coordination (più strutturata) o full integration (pienamente integrata). Si pensi per esempio all’erogazione di alcuni servizi per gli anziani che possono essere governati attraverso semplici collegamenti funzionali; viceversa nei casi in cui si richieda un livello maggiore di continuità assistenziale, che vede il coinvolgimento di più setting e di diversi erogatori, emerge la necessità di avere servizi coordinati o pienamente integrati.

La principale difficoltà nel comprendere l’integrazione sanitaria ed il come e il perché lavorino le varie strategie sta nella mancanza di uno schema analitico, ossia di un framework ideale che possa facilitare la comunicazione, la comprensione, la formulazione delle ipotesi e delle politiche, lo sviluppo dei programmi e la loro valutazione (Kodner DL et al., 2000). Occorre però intendere tali framework come guida delle riforme, strumenti che possono essere utilizzati per la loro implementazione; essi infatti non declinano come la riforma deve essere strutturata; i modelli di integrazione locale e regionale, pertanto, devono essere sviluppati in modo tale da ricomprendere le caratteristiche del framework preso come riferimento adattate però alle necessità e caratteristiche del contesto locale e più in generale agli obiettivi di riforma.

Leutz, sulla base delle esperienze delle riforme degli Stati Uniti e Regno Unito, tenta di elaborare tale schema al fine di creare un modello organizzativo di integrazione e di offrire un punto di partenza per comprenderne la base concettuale.

A tal proposito fornisce un contributo formulando, inizialmente cinque leggi di integrazione e ponendo l’attenzione sul tipo di decisione da adottare al fine di sviluppare un nuovo approccio all’integrazione:

  1. You can integrate all of the services for some of the people, some of the services for all of the people, but you can’t integrate all of the services for all of the people: si possono integrare tutti i servizi per alcune persone, alcuni servizi per tutte le persone, ma non si possono integrare tutti i servizi per tutte le persone;
  2. Integration costs before it pays: l’integrazione ha dei costi prima che possa dare dei benefici[4];
  3. Your integration is my fragmentation: la tua integrazione è la mia frammentazione;
  4. You cant integrate a square peg and a round hole: non si può integrare un piolo quadrato e un buco rotondo;
  5. The one who integrates calls the tune: colui che integra decide il tempo e detta le regole (Leutz WN, 1999).

Nel 2005 tali leggi sono rivisitate dallo stesso Leutz:

6. All integration is local: tutta l’integrazione è essenzialmente locale.

Questa non è una delle leggi originali di Leutz, ma secondo l’autore forse avrebbe dovuto esserlo (Leutz WN, 2005). Da un lato vi è l’idea che ogni impegno per l’integrazione deve essere attuato a livello locale, in modo che sia coerente con le caratteristiche dei sistemi locali e del personale. Dall’altro vi è l’idea che delle politiche generali dovrebbero facilitare piuttosto che dettare la struttura e il ritmo dell’azione locale. Infatti, le innovazioni adattate al contesto locale hanno maggiori probabilità di essere implementate con successo e di diventare parte della pratica quotidiana (Masso M et al., 2009). Il governo nazionale può stabilire la politica e fornire risorse ma la leadership a livello locale rappresenta la chiave per ottenere risultati innovativi (Gillie D).

Nel 2005 si declinano più dettagliatamente alcuni aspetti per cui si prosegue con:

  1. help not hassle for phisicians aiuta, non creare seccature ai medici;
  2. put the right person/organization in charge of integration: individua il responsabile/l’organizzazione giusto/a per l’integrazione;
  3. support integration financially: sostienila finanziariamente;
  4. keep it simple, stupid: mantienila semplice, stupida;
  5. dont try to integrate everything: non cercare di integrare ogni cosa;
  6. integration isnt build in a day: l’integrazione non si materializza in un giorno.

Le leggi di integrazione probabilmente non hanno una giustificazione scientifica: la scienza sociale non dispone degli strumenti necessari per rivelare i processi e i risultati in un’area complessa come quella sanitaria. Tuttavia, Leutz propone in merito 3 raccomandazioni:

  1. coinvolgere gli utenti, i familiari e i fornitori di servizi nella pianificazione e nella supervisione. Il successo dell’integrazione dei servizi nella Long Term Care potrà verificarsi solo se tutte le parti coinvolte partecipano alla pianificazione e all’implementazione di questo processo;
  2. sviluppare sistemi al fine di integrare, coordinare e collegare i servizi per le persone con disabilità. Nel tentativo di sviluppare dei sistemi completamente integrati per le persone più fragili e a rischio, si deve porre attenzione anche al modo in cui il sistema sanitario fornisce l’assistenza alle persone con disabilità e che non possono scegliere o non sono qualificate per dei programmi distinti. Un approccio possibile potrebbe consistere nel selezionare la popolazione per i diversi rischi di disabilità, indirizzandola in modo appropriato e coordinando i servizi con i sistemi ad essi strettamente correlati attraverso il case management;
  3. chiarire i confini tra il sistema sanitario ed altri sistemi assistenziali, tenendo maggiormente in considerazione il sociale, data la mancanza o carenza di connessioni con tali servizi, rispetto all’intero processo assistenziale (Leutz WN, 2005). Consiglia così di individuare un facilitatore dell’integrazione (individuo od organizzazione che sia) che condivida obiettivi quali la cooperazione, l’importanza del sociale, tenga in considerazione ogni aspetto etc.; di pianificare e servirsi di regole di tipo amministrativo per far partire i servizi più deboli (le agenzie dei servizi sociali, l’assistenza diurna per adulti-adult day care, volontari e soprattutto i destinatari dei servizi familiari inclusi; di cercare professionisti (anche i più potenti) che prioritarizzino l’assistenza che offrono. Il risultato potrebbe essere una scelta di successo (es. che i soldi per l’assistenza sociale siano spesi per un’assistenza specializzata). Conoscere il punto di vista del paziente quando è solo in quanto sembra non gradisca esprimerlo di fronte a più professionisti. Organizzare incontri separati e poi incontri comuni; provvedere al trasporto, ai tempi e luoghi e al caregiving. Budget individuali per coloro che lo desiderano e quando gli utenti sono in grado di gestire la complessità dell’assistenza (nel caso in cui l’assistenza sociale non sia inclusa nel piano).

Kodner e Kyriacou identificano delle criticità riguardanti le tre tipologie di assistenza integrata:

  • limiti giurisdizionali, ovvero la complessità nella formulazione, nell’amministrazione e nella regolazione delle politiche governative circa l’offerta di servizi sanitari e sociali;
  • meccanismi finanziari, ossia la divisione e la struttura dei finanziamenti per l’assistenza sociosanitaria;
  • governance e management, quindi le relazioni legali (giuridiche) e amministrative fra gli stakeholder;
  • pianificazione strategica, ovvero il coinvolgimento degli stakeholder nella pianificazione e nella valutazione dei bisogni comunitari;
  • focus sulla continuità dellassistenza, creando un allineamento con i bisogni degli assistiti nonostante le limitazioni esistenti nei vari sistemi, settori e setting;
  • programmi specifici per i diversi servizi, ossia la capacità di accedere ovunque ad un ampio range di servizi sanitari e sociali;
  • network relationships, quindi la natura degli accordi tra le istituzioni e i provider;
  • screening del target “giusto” di assistiti, ossia la capacità di identificare la popolazione a rischio;
  • valutazione multidisciplinare, ovvero l’impegno ad eseguire una valutazione globale e multidimensionale dell’assistito;
  • Assistenza Primaria, cercando una sincronia con i medici di medicina generale e con gli specialisti;
  • care management, quindi la pianificazione, l’organizzazione e il monitoraggio dell’assistenza necessaria;
  • continuità della copertura e dellassistenza, controllando gli spostamenti dell’assistito tra i vari provider e i vari setting assistenziali;
  • teamwork, ossia una comunicazione e collaborazione continua tra un gruppo multidisciplinare di provider;
  • condivisione delle informazioni, quindi l’accesso e l’utilizzo di informazioni cliniche, amministrative e finanziarie condivise;
  • sistema basato sugli outcome, ossia la responsabilità sulla qualità totale e sui costi (Kodner DL et al., 2000).

Kodner e Kyriacou ipotizzano che i fattori sopra descritti crescano lungo il continuum dalla tipologia di integrazione linkage a quella full integration: tali relazioni vengono illustrate nella Tabella 3. Lo 0 denota un fattore che non impatta sulla tipologia di integrazione, √ indica un impatto limitato e √√√ denota un impatto più elevato.

Tabella 3: Impatto dei quindici fattori sulle tre tipologie di integrazione

FATTORI

LINKAGE

COORDINATION

FULL INTEGRATION

Limiti giurisdizionali

0

√√

Meccanismi finanziari

0

√√√

Governance e management

0

√√√

Pianificazione strategica

0

√√

√√√

Focus sulla continuità assistenziale

√√

√√√

Programmi specifici per i diversi servizi

0

√√

√√√

Network relationships

√√

√√√

Screening degli assistiti

√√

√√√

Valutazione multidisciplinare

0

√√

√√√

Care management

0

√√

√√√

Continuità copertura e assistenza

0

√√√

Assistenza primaria

0

√√

√√√

Teamwork

√√

√√√

Condivisione delle informazioni

√√

√√√

Sistema basato sui risultati

0

√√√

Fonte: Kodner e Kyriacou, 2000

La Tabella 4 riporta le strategie organizzate sulla base di cinque domini (finanziario, amministrativo organizzativo, erogazione dei servizi, clinico) che si influenzano vicendevolmente (Kodner e Spreeuwenberg, 2002).

Tabella 4: Framework per l’integrazione sociosanitaria

Finanziamento

Amministrazione

Organizzazione

Offerta di servizi

Aspetto Clinico

Pooling delle risorse

a diversi livelli

Accentramento /decentramento delle responsabilità

Ricollocazione dei servizi ad es in sedi comuni (co-location)

Training comune

Criteri diagnostici standardizzati

Quota capitaria a diversi livelli

Pianificazione intersettoriale

Accordi di dimissioni e trasferimenti

Informazioni, trasferimenti e presa in carico centralizzate

Uniformità nelle valutazioni onnicomprensive

 

Valutazione del bisogno e smistamento nella catena assistenziale

Pianificazione integrata tra le agenzie e/o budgeting

Case/care management

Definizione comune del piano di assistenza

 

Gestione unificata degli acquisti/ committenza

Affiliazione del servizio o contrattualizzazione

Network multidisciplinare e interdisciplinare

Condivisione della cartella clinica

 

 

Pianificazione congiunta di programmi e servizi

Copertura h24 /Reperibilità

Monitoraggio continuo del paziente

 

 

Alleanze strategiche o reti assistenziali

Sistemi informativi integrati

Strumenti di supporto alle decisioni comuni (linee guida, protocolli)

 

 

Accentramento, proprietà comuni, fusioni

 

Contatti regolari con il paziente e i familiari e sostegno continuo

Fonte: Kodner e Spreeuwenberg, 2002

Kodner e Spreeuwenberg identificano inoltre due differenti approcci all’integrazione: uno è di tipo “top-down” spinto dalle esigenze dei finanziatori e delle organizzazioni di essere costo efficaci e più responsabilizzati nei confronti di quei pazienti che hanno bisogno di continuità assistenziale; l’altro è di tipo “buttom-up”e considera i bisogni di gruppi di pazienti nel contesto dei sistemi esistenti al fine di determinare le caratteristiche dell’assistenza integrata.

Le strategie che enfatizzano il coordinamento e la piena integrazione sono alla base della riforma che prevede lo sviluppo di un “whole-system” nella Long Term Care (Kodner DL, 2006). Gli elementi chiave dei modelli socio sanitari sono, secondo Kodner, strutture organizzative ad “umbrella”, un team multidisciplinare che prevede il case management, network ben organizzati di erogatori e incentivi finanziari mirati.

Tra i problemi più urgenti nella pratica e nella politica dell’integrazione possiamo sicuramente riscontrare la difficoltà di definire le persone che possano appartenere alle diverse tipologie, di accorpare i servizi necessari e di allocare le risorse appropriate (Leutz WN, 1999). Al fine di sviluppare delle priorità di integrazione in modo sistematico, l’identificazione dei bisogni dei vari sottogruppi può avvenire attraverso un’analisi dei modelli di utilizzo dei servizi, delle condizioni sanitarie e delle preoccupazioni degli assistiti circa la qualità dell’assistenza sanitaria: questo perché ogni gruppo principale di assistiti con disabilità può contenere uno o più sottogruppi caratterizzati da urgenze particolari (malattie mentali in aggiunta alla disabilità dello sviluppo; malattie terminali o debilitanti; specifici passaggi, come quello dalla scuola al lavoro o dall’ospedale al domicilio).

Un altro problema urgente nella Long Term Care su cui è importante soffermarsi riguarda l’autonomia e il controllo per gli assistiti e i loro familiari. A tal proposito, lo scopo che l’integrazione si prefigge è quello di trasformare il sistema sanitario, attualmente complesso e confuso, in un sistema molto più “user friendly”: ciò attraverso la creazione di punti unici di accesso che coordinano una molteplicità di servizi, in cui il care manager riesca a coordinare più servizi o riesca ad ottenere una maggiore capacità di gestione /controllo di quei servizi che non riesce a erogare direttamente.

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Livelli di integrazione

L’integrazione si può verificare a vari livelli, tra cui quello politico, finanziario, gestionale e clinico ed include al suo interno un’adeguata e congiunta pianificazione, la formazione, decision making accurato, strumentazioni e attrezzature, un sistema informativo, ed inoltre, un adeguato sistema di acquisto di beni e servizi, screening e indirizzo, lo sviluppo di un piano di cura, la copertura delle prestazioni, l’erogazione dei servizi, il monitoraggio e sistema di feedback; tutti questi mezzi dell’integrazione stessa (Leutz WN, 1999 –MacAdam M, 2008). In particolare, per quanto concerne i livelli delle attività integrate MacAdam fa una distinzione tra:

  • system integration, che include attività di pianificazione, finanziamento e acquisto di servizi, criteri di eleggibilità e copertura dei servizi, il tutto all’interno di una determinata area geografica o per contee o province;
  • organizational integration, che fa riferimento al coordinamento e alla gestione delle attività fra i diversi erogatori siano essi agenzie o individui dell’assistenza per acuti, riabilitazione, assistenza domiciliare, di comunità e primaria (MacAdam M, 2008);
  • clinical integration, che riguarda l’assistenza medica diretta e il supporto forniti alle persone anziane dai loro caregiver (Edwards and Miller, 2003).

La mancanza di integrazione in almeno un livello impedisce che possa attuarsi l’integrazione negli altri. In altre parole, le decisioni circa la gamma dei servizi offerti, la loro disponibilità, la qualità desiderata, i requisiti di eleggibilità e i meccanismi di finanziamento influenzano la capacità delle organizzazioni di collaborare, specialmente nell’ambito dei servizi sanitari e sociali (MacAdam M, 2008).

Inoltre, sempre secondo MacAdam, l’integrazione può assumere una “forma” verticale o orizzontale.

L’horizontal integration fa riferimento ad un livello paritetico tra tutti gli attori appartenenti ad uno stesso livello assistenziale, setting o dominio nel processo di cura. L’accesso coordinato ai servizi di riabilitazione o la cura di tumori sono alcuni esempi; il lavoro dei MMG integrato con gli altri servizi della comunità (assistenza sanitaria e sociale).

La vertical integration riguarda livelli assistenziali diversi (servizi di Assistenza Primaria e servizi ospedalieri) e necessita a priori di un coordinamento e di continuità. L’integrazione verticale prevede, infatti, delle relazioni tra attori appartenenti a settori o piani di erogazione/finanziamento diversi.

MacAdam (2009) la riferisce all’offerta tra aree di servizi attraverso un’unica struttura organizzativa. Ne sono un esempio i reseaux locaux de services, i network locali creati in Quebec in cui gli ospedali, le strutture di LTC, quelle riabilitative e le organizzazioni di comunità sono confluiti in un’unica entità organizzativa per determinata area geografica per l’erogazione di servizi sanitari (fatta eccezione per le medicina generale e gli ospedali universitari TH). Alcune delle Health Maintenance Organization (HMOs) che detengono e/o gestiscono e sono finanziariamente responsabili dell’offerta di una gamma di servizi (medici, ospedalieri, riabilitazione e di continuità) per propri iscritti.

Il criterio che guida la distinzione fra queste due forme di integrazione è l’appartenenza dell’attore organizzativo ad uno stesso livello/setting o a livelli differenti.

Il processo di integrazione può infatti mirare a collegare i diversi servizi all’interno di un singolo livello di assistenza, mediante la creazione di un team multiprofessionale (integrazione orizzontale) o a collegare livelli differenti di assistenza, quali ad esempio l’Assistenza Primaria, secondaria e terziaria (integrazione verticale) (Leichsenring K, 2004).

Secondo Butera, i sistemi integrati orizzontalmente sono orientati a realizzare la cooperazione fra erogatori che operino nel medesimo setting assistenziale e sono finalizzate a stabilire una collaborazione clinica sistematica che si concretizza nella condivisione di conoscenze, informazioni e modalità operative (Butera F, 1990).

Tale modello prevede, al fine di sfruttare la massima potenzialità dei servizi presenti nel territorio, di mettere in rete tutte le differenti tipologie di prestazioni all’interno di una stessa branca o area di attività che le differenti realtà aziendali attualmente erogano in maniera frammentata o disomogenea in modo da offrire a tutti i cittadini in una determinata area lo stesso livello di servizi e con la stessa qualità.

I sistemi integrati verticalmente riguardano, invece, le relazioni tra i diversi livelli di assistenza che caratterizzano il bisogno di salute. Si tratta di insiemi coordinati di strutture sanitarie, che operano in differenti setting, al fine di pianificare il percorso assistenziale dell’assistito ed assicurare l’erogazione di tutte le prestazioni previste dal percorso medesimo. In tal senso, il concetto di sistema integrato in modo verticale si lega inscindibilmente a quello di continuità assistenziale, in quanto si concretizza nel valutare il percorso assistenziale più adeguato che garantisca la continuità dei servizi lungo il continuum delle prestazioni sanitarie di tipo preventivo-diagnostico, terapeutico e riabilitativo. Il tentativo è quello di conciliare esigenze diverse e talvolta tra loro contrastanti: ossia una distribuzione generale dei servizi sul territorio tale da garantire facilità di accesso ai cittadini, la soddisfazione delle preferenze e delle aspettative di questi ultimi, la concentrazione degli interventi a elevata complessità in centri di riferimento quale garanzia di qualità e sostenibilità dei costi.

Nello specifico, un sistema che coordina o consolida le funzioni della Long Term Care attraverso i dipartimenti, le agenzie o i diversi erogatori è “orizzontalmente integrato” (Armour-Garb A, 2004 – Pan PG, 1995). In particolare, le responsabilità all’interno della Long Term Care possono essere strutturate secondo tre diverse modalità:

  • modello “cabinet”, in cui le agenzie esistenti (ad esempio per la sanità) conservano le proprie responsabilità nell’ambito della Long Term Care, ma le funzioni sono attribuite ad un comitato interdipartimentale di coordinamento, che rappresenta il luogo adatto per lo sviluppo di qualsiasi politica statale riguardante l’assistenza di lungo periodo. Questa struttura, se da un lato richiede meno cambiamenti (non vi è necessità di una riorganizzazione dipartimentale), dall’altro si presta, tuttavia, poco all’integrazione e al coordinamento dei servizi;
  • modello “umbrella”, in cui tutti i servizi di Long Term Care sono forniti da un’unica agenzia, di solito il dipartimento della salute e dei servizi sociali. Le diverse funzioni e i diversi programmi della Long Term Care sono dispersi tra le varie divisioni e i vari uffici all’interno del dipartimento, mentre le responsabilità interne sono spostate allo scopo di incrementare il coordinamento inter-divisionale. L’integrazione della pianificazione, delle politiche di sviluppo e dell’allocazione delle risorse tra le differenti divisioni è di solito garantita dalla costituzione di una struttura di coordinamento intra-dipartimentale; inoltre l’integrazione dei servizi può essere favorita dall’assegnazione di responsabilità per i programmi ad un’unica divisione, utilizzando un unico accesso locale ed un unico sistema di erogazione e sviluppando altresì un piano intra-dipartimentale;
  • modello “consolidation”, in cui tutte le responsabilità nell’ambito della Long Term Care, sia istituzionali che domiciliari, sono collocate all’interno di una sola agenzia. Ciò normalmente richiede una maggiore riorganizzazione del governo statale, inclusa la possibile creazione di una nuova agenzia e lo smantellamento degli attuali dipartimenti. Consolidare l’autorità e la responsabilità in un’unica struttura organizzativa migliora in modo sostanziale l’efficienza amministrativa e l’accountability per i risultati dell’assistenza di lungo termine. Tuttavia, molti Stati affrontano delle difficoltà nell’accorpamento delle differenti tipologie di flussi finanziari, i quali rappresentano una delle cause della frammentazione dei sistemi. Poiché la scarsità delle risorse limita la capacità degli stati di finanziare sia l’assistenza residenziale che quella domiciliare, e il trade-off tra queste diventa necessario, l’efficienza e la scelta degli assistiti può essere meglio realizzata se il decision-making è integrato all’interno di un’unica struttura organizzativa, che detiene l’autorità su tutte le risorse per la Long Term Care. Un sistema è, invece, “integrato verticalmente” se tutti i servizi provenienti dalle possibili fonti sono collegati, a partire dal momento in cui l’assistito viene a conoscenza dei servizi disponibili e poi attraverso l’erogazione e il monitoraggio degli stessi. Un sistema di punto d’accesso è, per definizione, un sistema integrato, sebbene possa variare il grado di integrazione orizzontale e verticale.

L’interesse per l’integrazione continua ad essere molto forte da parte di molteplici soggetti, tra cui ricercatori, erogatori di servizi e decisori politici, nell’ambito dell’assistenza sanitaria, sociale e degli altri servizi di supporto. Nei paesi industrializzati si assiste ad un continuo invecchiamento della popolazione e ad un crescente aumento dei costi delle prestazioni. L’interesse per l’integrazione non è quindi solo limitato agli anziani, ma anche a coloro che usufruiscono in modo simultaneo dei servizi derivanti da molteplici sistemi di assistenza, come ad esempio gli individui con disabilità fisiche e intellettuali o malattie mentali. Si è assistito inoltre ad un aumento dell’interesse per modelli di assistenza che riguardano le malattie croniche e ciò deriva dalla consapevolezza che un modello di assistenza per il trattamento delle acuzie è inappropriato per i soggetti che presentano molteplici malattie croniche e che necessitano pertanto di una maggiore continuità e di un più ampio coordinamento dei servizi (Leutz WN, 2005).

Leutz in una rivisitazione del 2005 utilizza le leggi precedentemente elencate per valutare alcune delle iniziative attuali di integrazione. In particolare, la quarta legge di integrazione stabilisce che non si può integrare un piolo quadrato in un buco rotondo: “You cant integrate a square peg and a round hole”. La nozione “quadrato-rotondo” sta ad indicare che l’assistenza sanitaria e quella sociale racchiudono una serie di differenze inerenti il finanziamento, l’amministrazione, l’erogazione, l’orientamento clinico, l’accesso e le prestazioni, che rendono difficile integrare i vari sistemi; le differenze nel finanziamento sono, peraltro, le più problematiche. Dal punto di vista medico, la maggior parte dei soggetti ha uniformemente diritto all’assistenza sanitaria, ma sul lato sociale, l’eleggibilità per i servizi è spesso basata sulla posizione socioeconomica (means-tested), ossia non tutte le persone vi hanno accesso. Similmente in Canada l’assistenza per acuti e quella primaria è governata dai principi del Canada Health Act di universalità, globalità, accessibilità, mobilità, pubblica amministrazione; invece i servizi LTC e di comunità, la copertura farmaceutica, sono soggette a criteri di esigibilità, regole di pagamento e limiti di copertura che variano da provincia a provincia. Gli erogatori si trovano di fronte a regolamenti e norme che ostacolano l’offerta integrata dei servizi; uno dei problemi maggiori è proprio la mancanza di controllo su tale varietà e diversità di regole/norme sull’eleggibilità dei servizi e i limiti alla copertura (Hollander e Prince, 2001).

Ad aggravare le sfide per l’integrazione è anche la diffusa convinzione che l’unico modo veramente efficace per superare queste differenze sia un approccio “o tutto o niente”. Quando si parla di integrazione si fa infatti riferimento ad un qualcosa di multidimensionale: accorpamento delle risorse in un unico fondo, sistema di condivisione delle informazioni, valutazione comune e coordinamento dell’assistenza da parte del team. L’opinione diffusa è che i benefici in termini di risultati clinici e di efficienza del sistema saranno pienamente raggiunti solo se si va fino in fondo (Leutz WN, 2005).

Hollander e Prince sulla base di una revisione della letteratura e dei dati raccolti in Canada hanno sviluppato un framework per la continuità assistenziale per la disabilità (gli anziani, i malati mentali, adulti e bambini disabili). Tale framework (Figura 2) si suddivide in tre parti:

  1. prerequisiti politici e concettuali che sottolineano il progressivo impegno verso sistemi integrati per l’assistenza ai disabili;
  2. una gamma di best practice per l’organizzazione dell’offerta dei servizi per la continuità assistenziale;
  3. meccanismi per il coordinamento e le interazioni tra le diverse organizzazioni e professioni coinvolte nell’offerta di servizi per la continuità assistenziale. 

Figura 2: Framework per l’integrazione sociosanitaria Hollander e Prince 2008

A livello europeo è stato sviluppato il Care Management of Services for Older People in Europe Network (CARMEN), un progetto fondato dalla Commissione Europea per proporre modalità per lo sviluppo dell’integrazione sociosanitaria nei diversi paesi europei, ritenuta cruciale per migliorare l’accessibilità e la qualità in un contesto finanziariamente sostenibile.

Uno dei prodotti del network creatosi è stato proprio la sistematizzazione di un framework (Tabella 5) per lo sviluppo di politiche assistenziali integrate per l’assistenza agli anziani (Banks, 2004).

Tabella 5: Framework per l’integrazione sociosanitaria – CARMEN (Banks, 2004)

Temi

Definizioni

Vision condivisa

  • Uno statement che guida le policy

Evidenziazione dei principi e valori

Principi:

  • Gli anziani sono individui e sono sotto controllo
  • I punti di vista degli anziani sono centrali
  • L’accesso all’assistenza integrata deve essere equo e seguire il bisogno
  • Le soluzioni per l’assistenza integrata devono essere sostenibili

Criteri per il raggiungimento dei risultati in termini operativi

Il sistema integrato offre:

  • Servizi integrati innovativi flessibili per anziani
  • Chiarezza sulle responsabilità di tipo non medico e responsabilizzazione
  • Assistenza integrata appropriatamente individuata ed erogata

Coerenza con le altre policy

  • Sistemi di finanziamento coerenti
  • Promozione dell’indipendenza e del benessere
  • Supporto al caregiver familiare
  • Integrazione delle informazioni

Promozione attiva ed incentivi per lassistenza integrata

  • Allocazione sufficiente delle risorse
  • Integrazione delle risorse
  • Ruoli di responsabilità per integrare i servizi
  • Introduzione di incentivi e sanzioni
  • Sostegno dell’apprendimento e percorsi formativi condivisi
  • Identificazione di standard per lavorare insieme e condividere approcci integrati
  • Fornire supporto ai caregiver familiari

Valutazione e monitoraggio

  • Creazione di requisiti cruciali per la valutazione quali l’impatto sulla vita degli anziani e sui loro familiari, cambiamenti nell’offerta dei servizi e nell’outcome degli stessi, costo efficacia dell’approccio nella sua interezza whole-system e dei servizi integrati, cambiamenti nei processi, protocolli finalizzati al miglioramento dei servizi

Regolamentazione e controlli ispettivi

  • Coordinare ispezioni e processi regolamentatori per evitare duplicazioni

Supporto nellimplementazione delle policy

  • Supporto finalizzato a coinvolgere gli anziani, a sviluppare metodi di che impattino sul cambiamento culturale ed organizzativo, sviluppo della leadership, della tecnologie e dei sistemi informativi

Le popolazioni con bisogno sociosanitario complesso, quali gli anziani o i disabili, necessitano di una combinazione di interventi elaborata e allo stesso tempo flessibile (Johri M et al., 2003). A livello internazionale, molti governi hanno cercato di facilitare tale combinazione costituendo un sistema di punti unici di accesso in cui un case management garantisca un’assistenza continua nella comunità e l’ammissione a strutture residenziali di Long Term Care, qualora necessarie. Sebbene questo coordinamento rappresenti uno step importante per la riduzione della frammentazione e il miglior uso delle risorse, persistono numerose limitazioni, tra cui la separazione tra assistenza sanitaria e sociale, tra assistenza per acuti e continuativa, tra assistenza residenziale e quella istituzionale. Vari programmi a livello internazionale, attraverso diverse metodologie di finanziamento, forme organizzative e tecniche manageriali e cliniche, hanno tentato di risolvere tali problemi e fornire un maggior grado di integrazione.

I sistemi integrati di erogazione dei servizi (ISD, Integrated Service Delivery) sono stati proposti da un lato per migliorare l’efficacia e l’efficienza del sistema sanitario, in particolare per gli assistiti con bisogni complessi, e la continuità dell’assistenza, la salute e la soddisfazione dei pazienti, e dall’altro per diminuire l’utilizzo di risorse costose quali l’assistenza istituzionale (Hébert R et al., 2004).

ISD fanno riferimento a sistemi che hanno come obiettivo o il coordinamento o la piena integrazione e a tal proposito, sono stati sviluppati molti esempi di programmi ISD (Hébert R et al., 2003).

Tutti i framework delineati hanno molte caratteristiche in comune sebbene siano organizzati differentemente.

Il framework di Banks è stato sviluppato a livello superiore ed è quindi meno specifico circa le caratteristiche dell’assistenza integrata. I framework di Hollander – Prince (H&P) e Kodner-Spreeuwenberg (K&S) sono invece più dettagliati nello specificare le caratteristiche dei sistemi integrati. Ad esempio il framework di K&S stabilisce i prerequisiti per le policy o l’in-reach Hospital e la remunerazione dei medici, delinea il lavoro in team, la sua multidisciplinarietà e la copertura del servizio h24. K&S includono la possibilità di un finanziamento per quota capitaria ed accentramento, proprietà comune o fusione di organizzazioni esistenti, ciò non è menzionato da H&P. I framework di Banks e H&P non parlano specificatamente di pianificazione comune o coordinata, mentre tali aspetti sono presenti nei framework di Leutz e K&S.

Un altro contributo alla definizione del concetto di integrazione all’interno della letteratura sociosanitaria è offerto da Danielle D’Amour (2005; 2008). La studiosa ha cercato di identificare le strutture concettuali, secondo una prospettiva sociologica, che potrebbero migliorare l’integrazione, che, quindi, la stessa autrice definisce collaborazione, all’interno delle strutture sanitarie.

A tal fine, l’autrice ha individuato e preso in considerazione le varie definizioni proposte in letteratura, i vari concetti associati con la collaborazione e i relativi quadri teorici.

La studiosa ha, così dimostrato che la collaborazione/integrazione è comunemente definita attraverso cinque concetti fondamentali:

  • la condivisione, intesa come la messa in comune tra i diversi individui di responsabilità, di dati, di valori e di interventi;
  • l’intesa, in cui diversi soggetti costruiscono un rapporto autentico e costruttivo per perseguire insieme obiettivi comuni;
  • il potere, definito come il rafforzamento simultaneo degli individui attraverso la relazione dei componenti di un team;
  • l’interdipendenza, ossia una forma di sinergia che porta all’attuazione di azioni collettive;
  • il processo, inteso come l’insieme delle attività volte al raggiungimento delle finalità della collaborazione.

I modelli più completi di collaborazione, inoltre, sembrano essere quelli basati su un forte background teorico, che pone le sue basi, sia nelle teorie organizzative o in sociologia organizzativa sia su dati empirici. Sulla base di una revisione sistematica della letteratura l’autrice è giunta, infine, a definire un modello concettuale unico di collaborazione interprofessionale, ma anche interorganizzativa, che implica una nuova divisione del lavoro tra i professionisti, all’interno dei diversi livelli di assistenza.

Il modello concettuale è stato, poi, testato in diversi contesti di collaborazione: in team professionali, tra organizzazioni e nelle reti sanitarie integrate.

Il modello suggerisce che l’azione collettiva può essere analizzata in quattro dimensioni, che si declinano grazie all’ausilio di dieci “indicatori”.

Due dimensioni riguardano le relazioni tra gli individui e due quelle all’interno del setting organizzativo.

Le dimensioni che riguardano le relazioni tra gli individui sono:

  • Shared Goals and Vision, obiettivi condivisi e vision dell’organizzazione. Questa dimensione si riferisce all’esistenza di obiettivi comuni e condivisi dal team di lavoro, al riconoscimento delle motivazioni divergenti e alla diversità nei confronti delle aspettative rispetto ai risultati della collaborazione;
  • Internalization, internalizzazione. In questo caso il riferimento è ad una presa di coscienza da parte dei professionisti delle interdipendenze che intercorrono tra di loro e dell’importanza della loro gestione. L’internalizzazione si traduce in un senso di appartenenza, nella conoscenza dei reciproci valori e nella fiducia reciproca.

Le dimensioni organizzative, invece, sono:

  • Formalization, formalizzazione. Questa chiarisce le aspettative e le responsabilità;
  • Governance, ossia la funzione di leadership che supporta la collaborazione. La dimensione della “governance” rappresenta una guida e un supporto per i professionisti, sostenendoli nell’implementazione delle innovazioni relative alle pratiche di collaborazione interprofessionale ed interorganizzativa.

Le quattro dimensioni sono, comunque, soggette all’influenza di fattori esterni e strutturali, quali le risorse e i vincoli di natura finanziaria e politica.

In base alle diverse interazioni tra le quattro dimensioni, mostrate grazie all’ausilio dei dieci indicatori, D’Amour (2008) ipotizza tre diverse tipologie di collaborazione:

  1. La collaborazione attiva, Active Collaboration, rappresenta il più alto livello di integrazione. In questa, i diversi attori hanno stabilito con successo una collaborazione stabile, sostenuta da obiettivi comuni, un forte senso di appartenenza e di fiducia reciproca, grazie al raggiungimento di un certo grado di consenso sui meccanismi e sulle regole di governance.
  2. Nella collaborazione in divenire, Developing Collaboration, non si è ancora prodotto, infatti, un largo consenso in merito agli obiettivi, alle relazioni interprofessionali, ai meccanismi di governance e alla formalizzazione. Questo è, infatti, un livello di integrazione non ancora radicato nella cultura organizzativa, che può, quindi, essere ancora oggetto di rivalutazione sulla base di fattori sia interni che ambientali. Sicuramente in questo quadro il cambiamento richiede ancora tempo, ma il progresso è chiaramente in corso.
  3. La collaborazione potenziale, Potential Collaboration, si riferisce ad una forma di integrazione che ancora non esiste o la cui evoluzione è stata frenata da conflitti tali, da impedire al sistema di procedere verso l’attuazione di una forma di collaborazione propriamente definita. Risulta, infatti, difficile introdurre nuove pratiche professionali di cui la struttura sanitaria necessita. Soltanto risolvendo i conflitti interni sarà possibile attuare la collaborazione.

I risultati offerti dal lavoro della D’Amour dimostrano che l’integrazione è un processo complesso, volontario e dinamico, che coinvolge competenze di tipo diverso.

Anche se ad oggi i decision maker sono sempre più interessati alla promozione di forme di collaborazione interprofessionale e interorganizzativa, risulta difficoltoso effettuare il passaggio a tali forme di integrazione.

Le evidenze scientifiche mostrano i diversi progressi ottenuti dallo sviluppo della collaborazione, ma è ancora necessario fornire ai professionisti gli strumenti concettuali in grado di aiutarli a sviluppare un’integrazione tra di loro e tra le organizzazioni nelle quali essi operano.

Anche il contributo della letteratura scientifica socio-sanitaria sul concetto di integrazione sottolinea, quindi, la necessità di inserire una funzione di sistema locale.

Tale funzione può essere vista nella funzione distrettuale, per la facilitazione della realizzazione delle interdipendenze ed interazioni. Questa non può essere, quindi, rappresentata dal singolo professionista o dal gruppo/team di professionisti, impegnati nella gestione ed attuazione dell’erogazione dei servizi. È attraverso una funzione di integrazione dedicata che si esprime con una capacità di leadership, di adattamento a situazioni contingenti, e attraverso la visione anticipata di innovazioni e mutazioni emergenti, la promozione e verifica dell’utilizzo di strumenti di standardizzazione della professione e della formazione multiprofessionale e multidisciplinare, che si esercita governance pubblica del sistema di PHC.

Valentiji insieme al suo gruppo di ricerca ha infine raccolto in un framework un modello olistico che racchiude tutti i concetti di integrazione sopra esposti rielaborandolo nella prospettiva della Primary Health Care (Figura 3).

Figura 3: Framework concettuale di assistenza integrata basato sulle funzioni integranti della PHC

Fonte: adattata da Valentijn PP, Schepman SM, Opheij W. Understanding integrated care: a comprehensive conceptual framework based on the integrative functions of primary care. IJIC,13: 1-12, 2013

I principi caratterizzanti la PHC costituiscono le fondamenta del framework che segue un approccio incentrato sul singolo paziente, ma anche di popolazione/della comunità cui afferisce e mira al miglioramento del livello di coordinamento dei servizi lungo tutto il continuum assistenziale (Haggerty et al. 2003). L’integrazione verticale ed orizzontale rappresentano in questo modello dei principi guida che tendono a contrastare la frammentazione a favore della continuità dell’assistenza.

  • Integrazione di sistema aggiunge al concetto di Mac Adam in modo esplicito l’allineamento tra norme e politiche all’interno di un sistema;
  • Integrazione organizzativa: riferita al livello di coordinamento di servizi tra diverse organizzazioni;
  • Integrazione professionale riferita al livello di coordinamento tra professionisti di diverse discipline Servizi medici, servizi infermieristici, servizi di aiuto alla persona, servizi sociali;
  • Integrazione clinica riferita al livello di coordinamento dell’assistenza clinica;
  • Integrazione funzionale riferita al livello di coordinamento delle funzioni amministrative e di supporto; agisce sui meccanismi e sulle attività che promuovono la responsabilizzazione e il dover render conto di quanto fatto e di come si sono investite le risorse; sui processi decisionali tra organizzazioni e professionisti;
  • Integrazione normativa riferita al livello di condivisione della missione, dei valori e dell’approccio al lavoro all’interno di un sistema.

L’integrazione concepita in senso multidimensionale agisce in modo trasversale e complementare tra il livello micro (relativo alla dimensione clinica), meso (proprio della dimensione organizzativa) e macro (relativo alla dimensione di sistema) secondo i principi della PHC e nel rispetto del famoso “triplo scopo” dei sistemi sanitari di Berwick che sono appunto il miglioramento della qualità e della esperienza di assistenza ricevuta, il miglioramento della popolazione tutta e il miglior valore ottenibile sulla base delle risorse investite.

In sintesi, si riportano alcune considerazioni, sul tema dell’integrazione ben delineate dal Goodwin et al. del KingFund in un report nel 2014 che comprendono le considerazioni e sono state condivise dall’osservatorio europeo WHO[5] :

  • L’integrazione è un processo che deve essere condotto, gestito e coltivato nel tempo. Tutte le iniziative volte allo sviluppo di processi di integrazione spesso devono navigare e superare ostacoli di tipo organizzativo e finanziario.
  • Non esiste un singolo modello organizzativo o un approccio che supporti l’assistenza integrata. Il punto di partenza dovrebbe essere un modello clinico assistenziale delineato per migliorare l’assistenza alla persona e non un modello organizzativo con una struttura prederminata. Inoltre le organizzazioni totalmente integrate non sono il goal.
  • Il maggior utilizzo di ICT dovrebbe essere sfruttato perché potenzialmente un importante facilitatore per l’assistenza integrata anche se non si può considerare una condizione sine qua non per l’integrazione sociosanitaria.
  • I professionisti devono lavorare in team multidisciplinari con ruoli chiaramente definiti o in network di provider medici generalisti con specialisti, sanitari e sociali.
  • Elementi imprescindibili nel delineare i servizi per l’assistenza ad una popolazione con bisogno complesso e cronico rimangono la valutazione multidimensionale, il punto unico di accesso, il piano assistenziale di cura, l’erogazione e il coordinamento operativo dei servizi che necessita.
  • Il successo è agevolato quando si investe sull’individuo e sull’assistenza informale supportando il self-management.
  • Il contatto personale con un care manager o un care coordinator specificamente identificato è più efficace rispetto ad un sistema di monitoraggio e di coordinamento dell’assistenza da remoto o supportato via telefono.

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Modelli integrati di gestione della cronicità e della complessità assistenziale: principi generali e prime applicazioni nelle Regioni Italiane

Il passaggio dal paradigma dell’acuzie a quello della cronicità implica che il sistema di offerta sanitaria e sociosanitaria sviluppi elementi che facilitino l’integrazione dei servizi sul paziente determinando trattamenti coordinati e continui nel tempo, orientati al soddisfacimento di bisogni di salute individuali e complessi, cioè variamente articolati sulla base della combinazione di diverse modalità con cui si presentano nel soggetto le variabili legate agli stili di vita e quelle demografiche, cliniche, assistenziali e sociali. Tre elementi principali, facilitano lo sviluppo di programmi di assistenza integrata per il trattamento della cronicità. Questi sono: il self management e i relativi approcci per il suo sostegno e sviluppo nei pazienti, il lavoro in team multi-professionali e multidisciplinari da parte dei professionisti della salute e la funzione di coordinamento organizzativo del case management.

Lo sviluppo di strategie di stewardship per la gestione di pazienti affetti da patologie croniche si esplicita attraverso il disegno, la promozione, l’attuazione e il monitoraggio di specifici programmi per la popolazione assistita che si traducono in piani individuali di assistenza per ciascun paziente e che implicano collaborazione tra professionisti e istituzioni. Questi programmi sono denominati disease management program (DMP). (Nolte E, 2008)

In particolare, il concetto di DMP ha avuto origine alla fine degli anni novanta negli Stati Uniti, nell’ambito della sperimentazione del Chronic Care Model, con il duplice proposito di migliorare l’assistenza alla cronicità e tagliare i costi. In quel contesto parlando di “disease management” ci si riferiva ad un approccio all’assistenza del paziente in grado di coordinare, nell’intero sistema dell’erogazione dei servizi sanitari, i diversi soggetti coinvolti (Ellrodt,1997). Tale azione di coordinamento richiede che venga elaborato, per ciascun paziente, un piano assistenziale basato sulla conoscenza dell’intero processo di malattia e realizzato a partire dalle più recenti evidenze presenti in letteratura. Intorno a questo piano assistenziale individuale, al fine di erogare i servizi assistenziali previsti, si attiva il team multidisciplinare, composto da medici e altri professionisti sanitari, coinvolti nell’assistenza del paziente. Al paziente viene dato un ruolo centrale nella valutazione e nel trattamento della sua patologia, infatti molti dei programmi di disease management prevedono anche interventi di educazione sanitaria e supporto alla compliance. L’implicazione di ciò è che in tali programmi viene sottolineato, oltre alle attività di diagnosi e trattamento, il ruolo centrale di attività di prevenzione ed educazione nell’affrontare i fattori di rischio a cui ciascun paziente potrebbe essere esposto (Gemmill, 2008).

Dall’analisi della letteratura è stato possibile classificare i diversi modelli proposti di DMP, sulla base di alcuni elementi strutturali, in tre categorie distinte:

  1. Modelli concettuali che utilizzano un ampio case mix di strategie per indirizzare il continuum di assistenza di pazienti cronici, indipendentemente dal loro livello di rischio, focalizzandosi sull’integrazione di servizi (approccio Kaiser).
  2. Modelli orientati a specifici target di popolazione, definiti ad alto rischio o ad alta complessità e che prevedono la messa in campo di una funzione di coordinamento organizzativo, case management, svolto da specifica figura professionale o da un sistema tecnologico avanzato.
  3. Modelli rappresentati da programmi in cui l’elemento costitutivo di base è la modalità di finanziamento che viene stabilito a priori e che copre i servizi dell’intero programma. Il tipo di finanziamento in questione, denominato bundle, prevede che più provider siano rimborsati da una singolo pagamento per tutti i servizi forniti durante il trattamento e non da singoli rimborsi per ogni servizio o prestazione individuale erogata.

Sulla base di questa classificazione sono stati classificati i principali DMP ad oggi presenti in letteratura. Nella prima tipologia di DMP, ovvero quelli che utilizzano un ampio case mix di strategie per indirizzare il continuum di assistenza di pazienti cronici, indipendentemente dal loro livello di rischio, focalizzandosi sull’integrazione dei servizi, rientrano modelli quali: Chronic Care Model, Expanded Chronic Care Model, Innovative Care for Chronic Conditions. Nella seconda tipologia, ovvero programmi che si rivolgono a pazienti ad alto rischio, rientrano i modelli Guided Care Model e Evercare implementati nel Regno Unito. Nella terza tipologia rientrano il Bundled Care in Olanda e i Gesundes Kinzigtal Integrated Care in Germania.

Successivamente, i Disease Management Program (DMP), sono stati distinti dai Care Management Program (CMP) per pazienti con bisogni complessi di assistenza socio-sanitaria; difatti:

  • I DMP sono indirizzati alla gestione di una singola patologia e si focalizzano sui bisogni di salute (health needs) dei pazienti;
  • I CMP si focalizzano sulla valutazione dei bisogni complessi di assistenza sociosanitaria (healthcare needs) dei pazienti, quantificando e prevedendo il rischio di utilizzo delle risorse sociosanitarie (ad esempio ospedalizzazioni, riammissioni) a prescindere dalla singola condizione di salute presentata dal paziente.

Un Care Management Program per pazienti con bisogni complessi di assistenza socio-sanitaria (CMP) è un programma comunitario che prevede un approccio coordinato fra diversi provider di assistenza (pubblici o privati) e tra questi e i pazienti (con o senza supporto di caregiver) affetti da una o più patologie croniche e/o in condizioni di non autosufficienza e a rischio di utilizzo dei servizi sociosanitari. Tramite questo programma la stewardship (governance di un sistema sanitario) programma, organizza e valuta, in maniera sostenibile, l’offerta integrata di servizi sociosanitari per tipologie di assistiti con bisogni di assistenza sociosanitaria di diversa tipologia e grado. Tali programmi caratterizzano in termini quantitativi non solo il bisogno sociosanitario complesso della popolazione, ma anche la probabilità di utilizzo delle risorse sociosanitarie soprattutto in termini di ospedalizzazione, riammissioni, utilizzo di farmaci, accessi al pronto soccorso. Il programma viene predefinito in termini di azioni e tempi (percorsi assistenziali) e valutato (sia in termini di fabbisogno atteso, che di appropriatezza nell’erogazione) su specifici target di popolazione preidentificata. Lo stesso si declina, per ogni assistito, in un piano individuale di assistenza, che avendo una durata consona al trattamento della cronicità e delle sue evoluzioni, prevede la promozione del self management del paziente e/o funzione di caregiver e una funzione di case management nell’attuazione dello stesso attraverso diversi setting e/o livelli di assistenza.

In Italia il livello nazionale ha nell’ultimo decennio recepito le indicazioni della letteratura e degli organismi internazionali che tutelano la saluta della popolazione includendole nei principali atti di programmazione nazionale quali ad esempio gli Obiettivi prioritari di piano e Patto per la Salute.

In tali atti gli obiettivi prioritari sono di seguito sintetizzati:

  • Promuovere il benessere e affrontare i principali problemi di salute della comunità
  • Misurare il mantenimento e il miglioramento dello stato di salute del singolo e della comunità.
  • Prendere in carico i pazienti in modo globale incoraggiando la continuità e un approccio proattivo
  • Promuovere l’integrazione tra il settore sociale e sanitario e sviluppare il lavoro multiprofessionale e multidisciplinare in team
  • Sviluppare linee guida per la comorbilità secondo i bisogni complessi e l’intensità di cura
  • Prossimità ai cittadini e servizi collocati in sede comune al fine di migliorare l’accesso e ridurre la frammentazione nell’offerta dei servizi
  • Migliorare la capacità di gestire la domanda
  • Miglioramento dei sistemi informativi con attenzione alla loro di misurare in modo globale il processo assistenziale
  • Favorire l’empowerment dei pazienti
  • Difendere l’equità

Inoltre è in via di adozione il Piano Nazionale della cronicità nel quale emerge l’impegno verso un approccio che promuova una nuova cultura del sistema, dei servizi, dei professionisti e dei pazienti in cui siano coinvolti e responsabilizzate tutti gli attori, dalla persona a tutti coloro che si interfacciano con il macrosistema salute; l’ospedale integrato con il territorio è concepito come uno snodo di alta specializzazione del sistema di cure per la cronicità, che interagisce con la specialistica ambulatoriale e con l’Assistenza Primaria; obiettivo chiave è quello mantenere il più possibile la persona malata al proprio domicilio e impedire/ridurre il rischio di istituzionalizzazione; fondamentale e punto di partenza per seguire il malato cornico è la valutazione multidimensionale del bisogno.

L’integrazione sanitaria e sociosanitaria intesa come ricomposizione unitaria delle azioni di istituzioni, organizzazioni, singoli operatori e assistiti per il raggiungimento degli obiettivi della PHC, trova nel processo organizzativo di presa in carico, da parte del sistema sanitario, e nella promozione e guida della continuità assistenziale, prodotta dai diversi erogatori, il set delle attività di coordinamento essenziali per la tutela degli assistiti.

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Il processo organizzativo di presa incarico delle persone con bisogno socio sanitario complesso da parte del sistema di regolamentazione e prime applicazioni di modelli integrati

L’obiettivo diventa quindi il “prendere in carico”, attraverso un approccio globale, per migliorare la qualità di vita del paziente e ridurre il rischio di disabilità o di progressione della stessa verso i gradi più avanzati.

La promozione della continuità assistenziale, lo sviluppo della dimensione territoriale, l’attenzione per l’integrazione, rappresentano ormai linee di tendenza obbligate per il miglioramento degli outcome delle politiche sanitarie pubbliche. La capacità del sistema di garantire una effettiva presa in carico integrata, a fronte di una domanda di assistenza caratterizzata dalla crescita della complessità e delle legittime aspettative individuali, ha uno dei suoi snodi nel ribaltamento, culturale e operativo, del punto di vista attraverso il quale si costruiscono i percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali, che non può che essere basato sui bisogni, e quindi sulla domanda, piuttosto che sull’offerta, al di fuori di ogni logica meramente prestazionale. I sistemi sanitari sono chiamati ad assicurare risposte alla richiesta crescente di qualità e tale richiesta trova la sua origine nella necessità di garantire efficienza e sostenibilità dei sistemi, ma anche nell’accresciuto e sempre più esigente bisogno dei cittadini di risposte efficaci, presa in carico effettiva, attenzione per la qualità della vita.

L’ospedale, che rappresenta tuttora la principale struttura sanitaria di riferimento, oltre a non essere stato concepito e realizzato, a livello architettonico, organizzativo e funzionale, per accogliere questa tipologia di pazienti, si trova in una fase di progressiva modificazione del proprio ruolo, sempre più orientato verso la cura dell’acuzie e verso gli interventi diagnostico-terapeutici ad alta tecnologia, mentre è scarsamente proteso verso pazienti con necessità di cura a lungo termine e/o ad elevata complessità clinico-gestionale. Perciò sulla base di esperienze positive compiute in altri paesi si può affermare che la risposta più appropriata alle problematiche assistenziali legate alla cronicità, disabilità e fragilità sia rappresentata dalla realizzazione di un “sistema” in grado di garantire risposte tempestive ed efficaci ai bisogni complessi, sia sanitari che sociali, molteplici e mutevoli nel tempo, attraverso un modello di presa in carico del paziente che faccia da ponte tra l’ospedale e il territorio, che favorisca l’integrazione socio-sanitaria a tutti i livelli di assistenza.

Quindi si parla di una nuova concettualizzazione del sistema di garanzia della salute come “rete di servizi”, dove le componenti sociali e sanitarie dell’assistenza sono strettamente correlate, ovvero un circuito assistenziale che accompagna l’evolversi dei bisogni della persona e della sua famiglia, fornendo interventi diversificati, ma in continuità tra di loro. Per tali assistiti, oltre a interventi specifici e settoriali, è indispensabile che siano previsti dei percorsi di assistenza che garantiscano l’effettiva presa in carico globale, attraverso l’attivazione e il reale funzionamento di tutta la rete dei servizi socio-sanitari, con particolare attenzione all’efficienza non solo di ciascun servizio, ma anche dei meccanismi di collegamento.

Tutte le Regioni stanno adottando soluzioni organizzative per favorire l’integrazione, la continuità di cura e assistenza e facilitare la presa in carico della persona non autosufficiente:

  • Coincidenza tra distretti e ambiti sociali
  • Programmazione unitaria delle attività sociosanitarie
  • Promozione delle forme organizzative della medicina generale, con modalità funzionali o anche strutturali.

In Italia l’esempio più concreto di sviluppo di sistemi sociosanitari integrati, in linea con altri paesi europei, è rappresentato della Casa della Salute.

La Casa della Salute è la sede pubblica dove trovano allocazione, in uno stesso spazio fisico, i servizi territoriali che erogano prestazioni sanitarie (Medici di Medicina Generale, Medici Specialisti, Infermieri, ecc.) e socio-assistenziali; in essa si vuole realizzare la presa in carico delle persone e si attuano azioni di diagnosi e cura, di prevenzione per tutto l’arco della vita e di promozione della salute.

La Struttura è collocata nel Distretto in cui in modo proattivo, si erogano servizi integrati sanitari e sociosanitari in contiguità spaziale e di operatori e in continuità con gli altri livelli di assistenza dei servizi. Le principali caratteristiche sono di seguito elencate:

  • Hub per il coordinamento degli altri servizi territoriali e facilitatore per l’assistenza secondaria.
  • Punto chiave per il chronic disease management e l’implementazione dei PTDA attraverso team multidisciplinari e multiprofessionali coordinati dal MMG
  • Maggiore accessibilità ai servizi a garanzia della continuità dell’assistenza (h12, h16).
  • Tipologia e gamma di servizi erogati in relazione alla densità di popolazione e collocazione geografica
  • Servizi collocati nella stessa sede centrati sul paziente:
  • Assistenza specialistica, Sanità Pubblica, salute mentale con il case management infermieristico, PUA.

Le Figure 4 e 5 riportano in sintesi l’offerta dei servizi nella programmazione regionale delle Case della Salute (ultima revisione maggio 2016). Il livello di implementazione delle Case della Salute nel nostro paese sta aumentando, anche sulla spinta della regolamentazione nazionale, ma risente tuttavia di una estrema variabilità nel territorio nazionale, dovuta sia a difficoltà di tipo manageriale organizzativo che di carattere economico-finanziario.

Figura 4: Case della salute nel contesto europeo

Figura 5: Case della salute – Servizi offerti nella pianificazione regionale

Fonte: Bellentani M, Marvulli M, Visca M. modificato e rielaborato da Bonciani M et al. Esperienze di integrazione nell’Assistenza Primaria basata sulla co-location dei servizi: quali prospettive per il modello Case della Salute? Mecosan, 96/2015

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Long Term Care – definizione

Il termine “long term care services” (servizi di assistenza a lungo termine) si riferisce all’organizzazione ed all’erogazione di un ampio spettro di servizi ed assistenza a persone che per un lungo periodo di tempo si trovano limitate nella loro indipendenza nell’esplicazione delle azioni quotidiane. In altre parole, la LTC è un insieme di servizi sanitari e sociali erogati per un periodo di tempo prolungato a soggetti che necessitano di assistenza continuativa di base a causa di disabilità fisiche o mentali; tali servizi possono essere erogati in residenze, a domicilio o presso comunità, comprendendo l’assistenza informale di parenti o amici così come quella formale di professionisti e agenzie o organizzazioni sanitarie (Carpenter 2007). Secondo un’altra definizione di Laing del 1993 la LTC comprende “tutte le forme di cura della persona e di assistenza sanitaria, e gli interventi di cura domestica associati, che abbiano natura continuativa. Tali interventi sono forniti a domicilio, in centri diurni o in strutture residenziali ad individui non autosufficienti”.

Fanno quindi parte della Long Term Care:

  • Gli interventi sanitari, a loro volta disarticolati in assistenza ambulatoriale e domiciliare, assistenza semiresidenziale e residenziale, l’assistenza integrativa e protesica;
  • Le indennità di accompagnamento, ossia prestazioni monetarie erogate direttamente all’individuo non autosufficiente, a prescindere da qualsiasi requisito reddituale e non subordinata alla certificazione dell’acquisto di beni e servizi funzionali al miglioramento delle condizioni di vita del soggetto;
  • Gli interventi socio-assistenziali erogati a livello locale per finalità assistenziali, in via principale dai Comuni singoli o associati.

Parlare di LTC è molto diverso rispetto a parlare di servizi di cura e/o riabilitazione o di servizi sociali. Infatti nel caso della cura e della riabilitazione l’assistenza erogata ha lo scopo di agire sulla condizione sanitaria del paziente, indirizzandola verso un miglioramento, mentre nel caso dell’assistenza sociale si punta a garantire il benessere e l’integrazione sociale. Il caso della LTC è diverso poiché l’assistenza è rivolta ad utenti con una condizione di non autosufficienza permanente. E poiché si tratta di una assistenza a lungo termine i suoi obiettivi sono: la stabilizzazione della situazione patologica in atto ed il miglioramento della qualità di vita dei pazienti, attraverso il supporto nello svolgimento delle attività quotidiane (Bolin K. et al., 2007).

Nella definizione di Long-Term Care, dunque, diversi punti meritano di essere enfatizzati:

  • è legata in prima istanza al mantenimento o al miglioramento delle capacità degli anziani con disabilità di espletare le proprie funzioni, per quanto possibile e quanto più a lungo possibile;
  • tiene in considerazione anche le necessità sociali ed ambientali e perciò riveste un’accezione più ampia rispetto al modello dominante dell’assistenza per acuti;
  • è un tipo di assistenza che prevede un basso “livello tecnologico”, sebbene stia acquisendo un maggiore livello di complessità in quanto i bisogni di salute degli anziani molto spesso sono caratterizzati da multipatologia.

Anche se in molti Stati è ancora oggi difficile identificare un modello chiaro e coerente delle politiche, strategie e strutture adottate, può essere tuttavia individuato uno schema di sviluppo dell’assistenza integrata di tipo generale. Riconosciuto che il problema sociale non debba essere considerato solo ed esclusivamente una questione da gestire per le famiglie, molti paesi hanno seguito un modello di “istituzionalizzazione”, integrato da servizi di assistenza per la collettività e da una serie di altre prestazioni emergenti. Ovviamente tale schema generale si è evoluto nei diversi Stati in momenti ed in contesti differenti. I paesi nordici hanno iniziato ad introdurre servizi di LTC già negli anni ‘50 come parte integrante del sistema di assistenza e previdenza sociale, mentre nel sud dell’Europa il problema si è posto solo durante gli anni ‘80 (Leichsenring K., 2004).

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Acronimi

  • CMP: Care Management Program
  • DMP: Disease Management Program
  • D.Lgs: Decreto Legislativo
  • LTC: Long Term Care
  • MMG: Medico di Medicina Generale
  • OMS: Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO: World Health Organization)
  • PHA: Primary Health Care
  • PUA: Punto Unico di Accesso

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 Note

[1] Europe’s Strong Primary Care Systems Are Linked To Better Population Health But Also To Higher Health Spending Dionne S. Kringos, W. Boerma, van der Zee, Groenewegen Peter Affairs April 2013 vol. 32 no. 4, pp. 686-694.

[2] 69esima Assemblea mondiale di sanità tenutasi a Ginevra il 23-28 maggio 2016 http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/180984/1/WHO_HIS_SDS_2015.20_eng.pdf?ua=1&ua=1 e Report of the Secretariat-General, document A/66/83

[3] Per la Teoria dei Sistemi Adattati Complessi (Complex Adaptative System – CAS), si veda Holland J.H., 1995. Hidden older, How Adaptation Builds Complexity, Addison- Wesley reading, MA.

[4] Vedi anche Barnes 19 novembre 2014. Integration will not save money http://www.hsj.co.uk/sectors/acute-care/integration-will-not-save-money-hsj-commission-concludes/5076808.fullarticle e Powell Davis et al. 2008 dalla cui revisione delle revisioni emerge che i sistemi coordinati e integrati migliorano solo determinati outcome e non i costi.

[5] Nolte E. European Observatory on Health System and Policies: “Integrated care: key concepts, challenges and opportunities” Seminario HSPA, Ministero della Salute, Roma 8 aprile 2016

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