Cap. 12 – Il coordinamento dei Servizi Socio-Sanitari integrati, residenziali e domiciliari

Capitolo del Manuale per Operatori di Sanità Pubblica “Governare l’Assistenza Primaria”

Autrice: Alba Malara

Indice del capitolo:

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L’integrazione sociosanitaria ha acquistato una nuova centralità in epoca recente, con il cambiamento del quadro epidemiologico, con il crescente aumento delle patologie croniche stabilizzate e di quelle cronico-degenerative in particolare. Questo tipo di condizioni non può trovare una risposta esaustiva nei tradizionali centri sanitari (ospedali e servizi ad alta specializzazione), ma richiede la costruzione di una rete di servizi socio-sanitari che si prenda carico complessivamente dei problemi della popolazione. Secondo Kodner e Spreeuwenberg l’integrazione è “linsieme coerente di metodi e di modelli riguardanti il finanziamento, lamministrazione, lorganizzazione, lerogazione di servizi ed i livelli clinici, progettati per creare connessioni, allineamento e collaborazione allinterno e tra i settori delle cure e dellassistenza (care). Scopo di tali metodi e modelli è di aumentare la qualità dellassistenza e la qualità di vita, il livello di soddisfazione e lefficienza di sistema per pazienti con problemi complessi e di lunga durata che coinvolgono diversi servizi, erogatori e modalità assistenziali”(1). L’obiettivo dell’integrazione deve transitare da una modalità prestazionale – curare al meglio una malattia di un paziente – ad una cultura di servizio in cui ci si prende cura di una persona. La riorganizzazione dell’offerta dei servizi sanitari trova il suo attuale riferimento nel Patto per la Salute 2014-2016, in particolare con l’articolo 5 per l’assistenza territoriale, e con l’articolo 3 che richiama il regolamento sugli standard ospedalieri per le strutture di ricovero. Alla luce di questi riferimenti normativi, le regioni sono chiamate a disinvestire dall’ospedale (riducendo il numero di posti letto per acuti a 3/1.000 abitanti) e re-investire sul territorio secondo una logica, seppur molto generica, di intensità di cura (2). Il percorso di questa riorganizzazione non è certo privo di ostacoli: primo fra tutti, in molte regioni del centro-sud, la “desertificazione” del territorio rispetto ad alcuni servizi (ADI – Assistenza Domiciliare Integrata; hospice; RSA – Residenza Sanitaria Assistenziale; riabilitazione; etc.), è ulteriore testimonianza, ampiamente documentata dall’adempimento dei corrispondenti indicatori LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), del fallimento dello strumento dei Piani di rientro. Se questi, infatti, hanno permesso di raggiungere gli obiettivi finanziari, le criticità organizzative di numerosi sistemi sanitari regionali restano immutate. In altre parole, la riorganizzazione integrata di ospedale e territorio è a un livello soddisfacente solo nelle regioni che, in tempi non sospetti, avevano già investito nelle Cure Primarie (3). In secondo luogo, la cultura ospedalo-centrica della popolazione frena notevolmente la riconversione della rete ospedaliera a fronte della necessità di sopprimere servizi (piccoli ospedali, punti nascita < 500 parti/anno, etc.), spesso imposta senza un adeguato processo di informazione e coinvolgimento attivo di cittadini e amministratori locali, a dispetto delle evidenze e di numerose esperienze di successo a cui ispirarsi. Infine, rigide posizioni professionali ostacolano da anni l’offerta di un moderno sistema di Cure Primarie dove il primo e più importante cambiamento è quello culturale, richiesto ad una medicina generale ancorata al mantenimento dello status quo, che fatica a intravedere le enormi opportunità di un radicale cambio di rotta (3).

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Assistenza Domiciliare Integrata

L’assistenza socio-sanitaria viene definita come un “insieme di attività atte a soddisfare, con percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione”(4). In tale ottica il Progetto Obiettivo “Tutela della Salute degli Anziani 1994-1996” indicava l’attivazione dei servizi di ADI come obiettivo prioritario ed ipotizzava lo sviluppo di servizi di Ospedalizzazione Domiciliare (OD) a più elevato contenuto sanitario con l’obiettivo di trattare a domicilio una percentuale di pazienti su tutti i ricoveri ospedalieri (5). Il DPCM 29 novembre 2001 – Definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza, inserisce le Cure domiciliari nell’ambito dell’assistenza distrettuale da attuarsi secondo le seguenti tipologie di attività:

  • assistenza programmata a domicilio (assistenza domiciliare integrata, assistenza programmata domiciliare comprese le varie forme di assistenza infermieristica territoriale);
  • attività sanitaria e sociosanitaria rivolta a pazienti nella fase terminale (domiciliare);
  • attività sanitaria e sociosanitaria rivolta alle persone con infezione da HIV (domiciliare) (6).

Gli ultimi Piani Sanitari Nazionali (PSN) ribadiscono che l’assistenza territoriale domiciliare, l’ospedalizzazione domiciliare e l’assistenza domiciliare programmata e integrata della rete dei Medici di Medicina Generale (MMG), devono essere garantiti in uguale misura e intensità su tutto il territorio nazionale e confermano che è compito del Distretto Socio-Sanitario coordinare tutte le attività extraospedaliere di assistenza sanitaria a rilevanza sociale e ad elevata integrazione sociosanitaria. Viene anche dichiarato che “l’uso appropriato delle risorse disponibili rende imprescindibile privilegiare forme di cura domiciliari” e che “la casa è il miglior luogo di prevenzione, cura e riabilitazione” (7).

L’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) è un servizio, organizzato dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL, diversamente denominate nelle differenti regioni) in collaborazione con i Comuni, che garantisce alla persona fragile e/o non autosufficiente la permanenza presso il proprio domicilio, con la realizzazione di un progetto di cura e assistenza multi-professionale e personalizzato evitando, quando possibile, incongrui ricoveri in ospedale o in altri setting assistenziali.

L’integrazione socio-sanitaria richiede l’intervento sinergico di un gruppo interdisciplinare di professionisti che condividono obiettivi di cure e procedure assistenziali, ciascuno per la propria competenza, nel contesto di un piano di cura personalizzato. In diversi settori e servizi, la metodica del lavoro in équipe è entrata a far parte delle prassi del servizio sanitario e sociale, costituendo una risorsa essenziale per fronteggiare la complessità del paziente anziano. Le cure domiciliari consistono in trattamenti medici, infermieristici, riabilitativi ed in interventi socioassistenziali, associati ad attività di aiuto alla persona e governo della casa, prestati da personale qualificato per la cura e l’assistenza delle persone non autosufficienti (parzialmente o totalmente, in forma temporanea o continuativa), con patologie croniche o in fase di riacutizzazione. Sono finalizzate alla stabilizzazione del quadro clinico, a limitare il declino funzionale e migliorare la qualità quotidiana della vita (8). La cura dell’anziano a domicilio, in particolare dell’anziano fragile, rappresenta la sfida più grande per i sistemi sociosanitari di tutti i Paesi industrializzati.

Le necessità sanitarie sono spesso complesse: l’anziano fragile presenta un mix di problemi medici acuti e cronici e di disabilità funzionale. Il livello di bisogno clinico, funzionale e sociale deve essere valutato attraverso idonei strumenti di valutazione multidimensionale geriatrica finalizzati ad esaminare in modo omogeneo le specifiche aree funzionali e ad identificare tutti i bisogni assistenziali sanitari e sociali per la definizione del programma assistenziale e il conseguente impegno di risorse.

Ogni regione ha una propria normativa delle cure domiciliari, che disciplina le diverse tipologie, l’accesso ed il percorso, spetta, invece alle Aziende sanitarie realizzare il modello organizzativo ed erogare le prestazioni. La modalità organizzativa individuata, prevede un “accesso unico ai servizi”, oggi indicato con il termine di Punto Unico di Accesso (PUA), con un approccio basato sui principi del “case management”. Il PUA è in grado di promuovere la presa in carico unitaria attraverso procedure standardizzate per un accesso unificato alle prestazioni sociosanitarie, semplificando i numerosi passaggi che la persona assistita e/o i suoi familiari devono compiere. La presa in carico, che avviene a seguito della valutazione multidimensionale, è di tipo globale e comprende sia gli aspetti sanitari, cognitivi e funzionali, sia il contesto socio-abitativo: reddito, tipologia di abitazione ed eventuale presenza di barriere architettoniche, presenza di un caregiver nella famiglia. In Italia non è stato adottato un unico strumento di valutazione multidimensionale e nella maggioranza delle regioni la scelta è operata dagli stessi componenti dell’equipe. Solo alcune regioni hanno definito appositi strumenti, come: lo SVAMA in Veneto e il VALGRAF in Friuli Venezia Giulia, mentre altri strumenti sono attivati in diverse sedi aziendali, come il VAOR-ADI, il GEFI, lo SCHEMA POLARE (9).

A seguito della valutazione multidimensionale, le équipe definiscono il piano personalizzato di assistenza, indicando gli operatori coinvolti, le modalità e i tempi degli interventi. Di norma viene anche individuato, all’interno dei componenti dell’équipe, il Responsabile del caso (case manager). Si attiva così l’assistenza domiciliare e spetta alla stessa Unità di Valutazione Territoriale (UVT) valutarne l’andamento e decidere le eventuali modifiche, fino alla dimissione e alla verifica delle attività. La funzione di responsabile clinico, distinta da quella del case manager, è propria del MMG ed è sostenuta dal rapporto fiduciario che intercorre con l’assistito e con la famiglia (9).

Le cure domiciliari e le prestazioni connesse vengono distinte in:

  • Cure Domiciliari Prestazionali: caratterizzate da una risposta prestazionale, professionalmente qualificata, a un bisogno puntuale di tipo medico, infermieristico e/o riabilitativo che, anche qualora si ripeta nel tempo, non presupponga una valutazione multidimensionale di secondo livello e l’individuazione di un piano di assistenza multidisciplinare;
  • Cure Domiciliari Integrate di primo e secondo livello: si rivolgono a pazienti che, pur non presentando criticità di carattere acuto o sintomi particolarmente complessi, hanno bisogno di continuità assistenziale e interventi programmati che necessariamente si articolano sui 5 giorni/settimana (primo livello) o 6 giorni/settimana (secondo livello). Questa tipologia di cure domiciliari – in funzione della differente complessità/intensità – è caratterizzata dalla formulazione del Piano Assistenziale Individuale (PAI) redatto in base alla valutazione multidimensionale di secondo livello e attuato attraverso la presa in carico del PUA;
  • Cure Domiciliari Integrate di terzo livello: assorbono quelle precedentemente definite come ospedalizzazione a domicilio e consistono in interventi professionali rivolti a soggetti che presentano bisogni con un elevato livello di complessità in presenza di criticità specifiche: pazienti terminali (oncologici e non), pazienti con malattie neurologiche degenerative/progressive in fase avanzata (sclerosi laterale amiotrofica, distrofia muscolare), pazienti con necessità di nutrizione artificiale parenterale, pazienti con necessità di supporto ventilatorio invasivo, pazienti in stato vegetativo e stato di minima coscienza. Anche in questo caso, presupposti di base rimangono la valutazione multidimensionale, la presa in carico del paziente e l’individuazione di un piano di cura continuativo, sempre attraverso la presa in carico del PUA;
  • Cure domiciliari palliative a malati terminali: sono rivolte a pazienti nella fase terminale della malattia e sono caratterizzate da una risposta intensiva a bisogni di elevata complessità, così come vengono definite dal PAI; per i malati terminali è individuato un profilo specifico di cure palliative che richiede l’intervento di un’equipe dedicata. In questo caso, si tratta di interventi programmati che si articolano sui 7 giorni settimanali e per i quali è prevista la pronta disponibilità di intervento nelle 24 ore (10).

Il percorso per la presa in carico prevede:

  • Segnalazione-Accettazione. La segnalazione del problema può avvenire da parte del MMG, medico ospedaliero, diretto interessato, dei servizi sociali del comune, familiari o supporti informali, come i volontari. A livello distrettuale vengono raccolte ed analizzate le richieste ed eventualmente integrate (con segnalazione al MMG se la richiesta proviene da altra fonte), viene poi effettuata l’accettazione delle domande e, se il caso è complesso, si attiva l’UVT. Questa fase, che sembra semplice, risulta molto importante per la “riconoscibilità” del servizio per il cittadino e per facilitare i rapporti con i diversi operatori coinvolti.
  • Valutazione multidimensionale del bisogno. La UVT (la cui composizione varia in relazione al bisogno) effettua l’individuazione e la misurazione del bisogno sanitario e sociale; l’attività può essere effettuata con visita domiciliare o in ospedale. Il primo output del processo è l’ammissione o meno al servizio.
  • Presa in carico e definizione del piano assistenziale: l’UVT definisce gli obiettivi di cura e predispone il piano individuale di assistenza orientato per problemi assistenziali. Individua, in genere tra gli stessi componenti dell’équipe, il case manager, in stretta collaborazione con il MMG, coordina gli interventi e verifica l’andamento del piano assistenziale.
  • Svolgimento delle attività: Al domicilio dell’utente viene compilata una apposita documentazione, la “Cartella di assistenza domiciliare”, che costituisce uno strumento importante di comunicazione tra gli attori “curanti”, con i dati anagrafici e i dati sanitari compilati dai professionisti nei diversi accessi. Per cure di alta intensità, dove sono molto frequenti le variazioni delle condizioni cliniche del malato e/o della situazione familiare, possono essere utilizzati data set informatizzati e trasmessi ad una centrale operativa.
  • Dimissione: la conclusione del servizio può avvenire per raggiungimento dell’obiettivo prefissato nel PAI, per peggioramento delle condizioni cliniche con ricovero ospedaliero, per l’inserimento in altro programma assistenziale (ad esempio controllo ambulatoriale o servizio semiresidenziale o residenziale) o per decesso del paziente (9).

Ai fini della costituzione di un archivio regionale dei trattamenti di assistenza domiciliare, nel rispetto della privacy ai sensi del regolamento di cui all’articolo 20, comma 2, del D. Lgs. 196/2003, è stato istituito un flusso informativo con periodicità annuale relativo agli utenti che hanno ricevuto almeno un intervento di assistenza domiciliare erogato dal Servizio Sanitario nel periodo considerato.

L’obiettivo dell’assistenza domiciliare è raggiungibile, a patto che sia stabilito un programma concordato tra azienda sanitaria locale e Servizio Sociale del Comune, tale da consentire un’effettiva integrazione sociosanitaria, e che il PUA di riferimento gestisca l’integrazione dei servizi del territorio in accordo con il Distretto, le Unità Complesse di Cure Primarie/Aggregazioni Funzionali Territoriali della Medicina Generale e il MMG.

La consistenza dei servizi nel territorio dovrebbe essere decisamente aumentata, in modo da arrivare a valori simili a quelli della media dei Paesi europei nei quali l’assistenza all’anziano è di più alta qualità. I dati dell’ultimo Rapporto Osservasalute su ADI in Italia riportano una stima media di 50 per ogni 1000 (5%) residenti ultra 65enni curati in ADI, una quota insufficiente rispetto a quel che si verifica negli altri paesi OCSE in cui in media sono assistiti in ADI 70 anziani su 1000. Il valore ottimale previsto è di oltre 100 anziani su 1000. Esiste una certa difformità nella distribuzione geografica che vede il 6,8% al centro, 5,3% al Nord e il 3,6% al sud. Le criticità ancora da affrontare sono rappresentate non solo dall’esiguo numero di utenti in carico, ma anche dalla scarsa centralizzazione dell’organizzazione operativa, risposte tardive rispetto alle reali esigenze dell’utenza (prima risposta dopo 15 giorni), sistema non informatizzato (rilevazioni cartacee che vengono poi riportate con utilizzo dei pochi pc in sede) (11).

L’assistenza domiciliare rimane uno degli obiettivi primari dell’assistenza all’anziano e rappresenta lo strumento con cui consentire al cittadino non autosufficiente di esercitare il diritto e la possibilità di restare nella propria casa. Nuovi approcci all’assistenza domiciliare, come le prospettive offerte dalla tecnoassistenza, devono essere implementate.

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Centri Diurni Integrati

I Centri Diurni Integrati (CDI) sono strutture socio-sanitarie semiresidenziali caratterizzate come luogo di assistenza e cura temporanea, finalizzate al trattamento intensivo di uno specifico target di pazienti affetti da disabilità generica e disagio sociale. Le caratteristiche del paziente per l’ammissione in CDI sono all’incirca equivalenti a quelle relative all’ammissione in RSA, deve però poter contare, al proprio domicilio, su un’assistenza informale adeguata per il periodo notturno. I CDI, rientrano nell’assistenza semiresidenziale inserita tra i LEA; la semiresidenzialità per i pazienti anziani è prevista nel progetto Mattoni Servizio Sanitario Nazionale del Ministero della Salute (nello specifico Mattone 12 – Prestazioni residenziali e semiresidenziali) e codificati dai codici di prestazione SR e SRD (Tabella 1) (12). Per quanto riguarda la normativa delle regioni, solo alcune hanno deliberato riguardo al funzionamento dei CDI e hanno stabilito i criteri per l’autorizzazione alle attività o per l’accreditamento, mentre molte iniziative regionali di finanziamento da parte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e dei Fondi per la Non Autosufficienza hanno previsto, in modo sperimentale, prestazioni semiresidenziali erogate in CDI.

Tabella 1:  Classificazione delle prestazioni semiresidenziali 

secondo il gruppo di lavoro n. 12 del progetto Mattoni

Codice di prestazione

Descrizione

SR

Prestazioni Semiresidenziali – Trattamenti di mantenimento per anziani erogate in centri diurni

SRD

Prestazioni Semiresidenziali Demenze – Prestazioni di cure estensive erogate in centri diurni a pazienti con demenza senile che richiedono trattamenti di carattere riabilitativo, riorientamento e tutela personale

I CDI offrono un supporto, durante la giornata, a soggetti non autosufficienti, attraverso attività di socializzazione, di animazione, di mensa, di assistenza infermieristica e riabilitativa in un progetto di cura personalizzato, integrato, e continuativo, volto a potenziare o mantenere abilità cognitive, relazionali e le competenze di autonomia nelle attività quotidiane. I CDI dovrebbero trovarsi in centri abitati in modo da non dare all’anziano l’idea dell’allontanamento e dell’isolamento, in genere sono organizzati presso le RSA di cui costituiscono una modalità di apertura all’esterno e di integrazione con il territorio. Il CDI svolge la propria attività tutti i giorni della settimana (festivi esclusi) per almeno 8 ore al giorno e garantisce i seguenti servizi e prestazioni:

  • assistenza agli ospiti nell’espletamento delle normali attività e funzioni quotidiane;
  • attività terapeutico-riabilitative-educative finalizzate all’acquisizione e/o al mantenimento delle abilità fisiche, cognitive, relazionali;
  • attività di socializzazione e ricreativo culturali;
  • prestazioni sanitarie programmate in relazione alle specifiche esigenze dell’utenza, quali ad esempio quelle mediche, infermieristiche, terapeutico-riabilitative;
  • somministrazione pasti.

Il CDI si colloca nella rete dei servizi del territorio e vi si accede su indicazione dell’unità di VMD territoriale del PUA, con PAI, condiviso con la famiglia. Nel PAI sono riportati i problemi (clinici, funzionali, psicoaffettivi, sociali) evidenziati dalla valutazione multidimensionale, gli obiettivi dell’assistenza, le strategie da mettere in atto per perseguire gli obiettivi, le verifiche periodiche del piano, per valutare i risultati raggiunti ed aggiornare obiettivi e strategie, in accordo con gli operatori del CDI. La durata della permanenza è temporanea: si tratta di un tempo non prestabilito (generalmente 3 mesi, prorogabile), ma determinato dal tipo di bisogno dell’ospite e del suo caregiver e finalizzato al raggiungimento dell’obiettivo previsto dal progetto e degli obiettivi da realizzarsi dopo la dimissione (13). Il CDI favorisce, cura e mantiene costanti rapporti con gli operatori sociosanitari del territorio, sviluppa collegamenti strutturati con gli altri servizi della rete, garantendo modalità di sostegno ai familiari, assicurando la continuità assistenziale a domicilio e riducendo, quando possibile, gli accessi al Pronto Soccorso, l’ospedalizzazione impropria e comunque prevenendo o ritardando l’istituzionalizzazione permanente.

Il responsabile del CDI è in genere un assistente sociale o un infermiere, che controlla e coordina la gestione organizzativa della struttura e tiene i collegamenti con l’unità di VMD territoriale e con il MMG. L’assistenza medica viene assicurata dal MMG mentre la figura del geriatra rientra tra gli specialisti che possono essere richiesti dal medico curante con il compito di coordinare la valutazione multidimensionale geriatrica dell’ospite, stilare i piani individuali di assistenza e programmare le verifiche periodiche riguardo al raggiungimento degli obiettivi concordati, attuare protocolli generali di struttura per il trattamento di problemi geriatrici (alimentazione, lesioni da pressione, incontinenza urinaria, riabilitazione) e programmi di prevenzione (vaccinazioni, prevenzione della malnutrizione, delle cadute, ecc.) (10).

Il CDI rappresenta un efficace strumento per l’assistenza e il recupero dell’anziano disabile e comporta una maggiore responsabilizzazione della famiglia alleggerendo il carico assistenziale e lo stress legato all’assistenza: una metanalisi ha dimostrato un effetto benefico del CDI sulla riduzione dell’ansia e dell’ostilità del caregiver (14).

I Centri Diurni Alzheimer (CDA) rientrano nelle prestazioni di semi-residenzialità codificate con il codice SRD nel progetto Mattoni, sono strutture assistenziali intermedie, a valenza sanitaria e sociale rivolte prevalentemente a persone anziane affette da demenza moderata-grave con disturbi del comportamento, per le quali sia possibile definire e attivare un programma di “cura” con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita dell’assistito e dei suoi familiari. La demenza rappresenta la principale causa di disabilità nell’anziano ed il 50-75% dei pazienti con demenza sviluppa disturbi del comportamento che richiedono assistenza e sorveglianza continuative, e costituiscono la principale causa di “burnout” del caregiver e di istituzionalizzazione dei pazienti. Studi clinici controllati hanno dimostrato che l’assistenza nei CDA è significativamente efficace nel ridurre i disturbi del comportamento e lo stress del caregiver (15). Ad oggi i dati ufficiali sulla diffusione e sulla tipologia dei CDA sul territorio italiano, per quanto scarsi, mostrano una situazione estremamente poco sviluppata e con evidenti disomogeneità da regione a regione (13). Gli standard e i requisiti strutturali e funzionali dei CDA sono simili a quelli previsti per i Centri Diurni per anziani con disabilità generica, peraltro, data la maggiore complessità e il conseguente maggiore impegno assistenziale che caratterizzano i pazienti affetti da demenza, alcune caratteristiche strutturali, standard di personale e attività devono essere adeguatamente implementate e dedicate a questa particolare tipologia di ospiti. L’ambiente e l’équipe di un CDA costituiscono, infatti, una protesi per l’ospite, finalizzata a mantenere il massimo livello funzionale e di benessere, inteso come miglior livello funzionale per quel dato livello di gravità della malattia (16). Gli obiettivi di ogni “ambiente” dedicato all’assistenza delle persone con demenza comprendono: riduzione e controllo dei disturbi comportamentali, mantenimento delle capacità funzionali residue, facilitazione dell’orientamento spaziale e temporale, mantenimento della sicurezza, indirizzo dei trattamenti farmacologici e non farmacologici (17).

Il Team Assistenziale di un CDA, la cui composizione e l’organizzazione varia in base alla diversa normativa regionale, deve essere costituito da professionisti con specifiche caratteristiche e perseguire determinati obiettivi:

  • il personale socio-sanitario deve possedere competenze specifiche ed essere formato nell’assistenza all’anziano affetto da demenza con disturbi del comportamento;
  • l’azione del personale socio-sanitario deve essere rivolta a stimolare le relazioni interpersonali fra gli ospiti del CDA ed instaurare contatti con la struttura e le realtà socio-culturali del territorio;
  • il personale deve collaborare con la famiglia, con i servizi territoriali e con il MMG per perseguire la temporaneità degli interventi, facendosi anche promotore di trattamenti riabilitativi atti a favorire la permanenza a domicilio del malato.

A tal proposito devono essere previsti percorsi di formazione continua del personale, anche con l’obiettivo di contrastare il burn-out assistenziale ed il turn-over/abbandono degli operatori (13).

I CDA, caratterizzati dal lavoro in equipe multidisciplinare, sono strutture assistenziali ottimali per la messa in pratica dei Trattamenti Psico Sociali (TPS), che devono essere individualizzati a seconda dello stadio di malattia, delle problematiche e dei desideri dei singoli ospiti. I TPS consistono in una serie di interventi orientati alla stimolazione cognitiva e sensoriale, al benessere psicologico e alla riduzione dei disturbi del comportamento (18), possono essere effettuati nell’ambito di protocolli formalizzati o inseriti nella routine quotidiana, possono essere eseguiti singolarmente o in gruppo, con lo scopo di mantenere quanto più a lungo possibile le capacità cognitive e le abilità residue dei soggetti affetti da demenza con l’obiettivo finale di promuoverne il benessere e migliorare la qualità della vita (19). L’assistenza in CDA di soggetti affetti da demenza si è dimostrata efficace nel ridurre i disturbi del comportamento, che è la manifestazione di maggiore rilievo sia per il paziente sia per il caregiver.

I dati ufficiali sulla diffusione e sulla tipologia dei CDI esistenti in Italia sono scarsi, tuttavia, si può concludere che tale forma assistenziale, di provata efficacia e che riscuote un elevato grado di soddisfazione da parte delle famiglie, è assai poco sviluppata sul territorio nazionale soprattutto tenendo conto del costante aumento dell’aspettativa di vita e il conseguente e parallelo aumento della prevalenza di soggetti affetti da demenza.

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Residenze Sanitarie Assistenziali

Le strutture residenziali per anziani hanno avuto in Italia un rapido sviluppo nel corso degli ultimi 15 anni sulla spinta dell’evoluzione dello scenario demografico, con un incremento progressivo dei posti letto fino ad una stima attuale pari a circa il 2% della popolazione anziana. Una stima precisa, tuttavia, è fortemente condizionata dalle diverse modalità di classificazione di queste strutture adottate dalle singole regioni. Si da atto infatti che la denominazione corrente di RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) ha assunto nelle singole regioni significati diversi, con confini spesso mal definiti rispetto a Case Di Riposo, Case Protette, Residenze Protette, Istituti di Riabilitazione Geriatrica, Lungodegenze Riabilitative etc. (12). La RSA trova riferimento normativo nella legge 67/88 e nel DPCM 22.12.89. Si differenzia dalle strutture riabilitative di cui al punto 2.1 per la minore intensità delle cure sanitarie e per i tempi più prolungati di permanenza degli assistiti, che in relazione al loro stato psico-fisico possono trovare nella stessa anche “ospitalità permanente”.

La RSA è una struttura extra-ospedaliera per anziani disabili, prevalentemente non autosufficienti, non assistibili a domicilio, bisognevoli di trattamenti continui e persistenti, finalizzata a fornire accoglienza ed erogazione di prestazioni sanitarie, assistenziali, di recupero funzionale e sociale; essa va intesa come la struttura residenziale, della rete dei servizi territoriali, in cui deve realizzarsi il massimo della integrazione degli interventi sanitari e sociali (5). Nelle RSA sono da prevedere ospitalità temporanee o permanenti, di sollievo alla famiglia per ricoveri non superiori ai 30 giorni e di completamento di cicli riabilitativi eventualmente iniziati in altri presidi del SSN (20). Tutti gli interventi medici, infermieristici e riabilitativi erogati in RSA sono finalizzati ad un’assistenza individualizzata, orientata alla prevenzione e cura delle malattie croniche e delle loro riacutizzazioni, alla tutela e al miglioramento dei livelli di autonomia e alla promozione del benessere. La residenza deve mantenere una connotazione il più possibile domestica accompagnando un livello medio di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa, ad un livello “alto” di assistenza tutelare e alberghiera, modulate in base al modello assistenziale adottato dalle regioni e province autonome (20). Più recentemente il gruppo di lavoro n. 12 del progetto Mattoni, per superare la notevole difformità normative regionali e la conseguente differenziazione di modelli di assistenza residenziale, ha definito le prestazioni residenziali come “il complesso integrato di prestazioni socio-sanitarie erogate a persone non autosufficienti non assistibili a domicilio allinterno di nuclei accreditati per la specifica funzione”, e ha proposto una classificazione delle prestazioni residenziali secondo diversi livelli di complessità (Tabella 2). Le prestazioni individuate con i codici di prestazione R1, R2, R2D sono riferibili alla erogazione di “cure intensive o estensive” ad elevata integrazione sanitaria, mentre le prestazioni individuate con i codici di attività R3 sono convenzionalmente riferibili ad “assistenza e terapie di mantenimento”, classificabili come prestazioni sanitarie e valenza sociale (12).

Tabella 2:  Classificazione delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA)

secondo il gruppo di lavoro n. 12 del progetto Mattoni

Codice di prestazione

Descrizione

R1

Prestazioni erogate in nuclei specializzati (Unità di Cure Residenziali Intensive) a pazienti non autosufficienti richiedenti trattamenti Intensivi, essenziali per il supporto alle funzioni vitali come ad esempio: ventilazione meccanica e assistita, nutrizione enterale o parenterale protratta, trattamenti specialistici ad alto impegno (tipologie di utenti: stati vegetativi o coma prolungato, pazienti con gravi insufficienze respiratorie, pazienti affetti da malattie neurodegerative progressive, etc.).

R2

Prestazioni erogate in nuclei specializzati (Unità di Cure Residenziali Estensive) a pazienti non autosufficienti con elevata necessità di tutela sanitaria: cure mediche e infermieristiche quotidiane, trattamenti di recupero funzionale, somministrazione di terapie e.v., nutrizione enterale, lesioni da decubito profonde etc

R2D

Prestazioni erogate in nuclei specializzati (Nuclei Alzheimer) a pazienti con demenza senile nelle fasi in cui il disturbo mnesico è associato a disturbi del comportamento e/o dell’affettività che richiedono trattamenti estensivi di carattere riabilitativo, riorientamento e tutela personale in ambiente “protesico”.

R3

Prestazioni di lungoassistenza e di mantenimento, anche di tipo riabilitativo, erogate a pazienti non autosufficienti con bassa necessità di tutela Sanitaria (Unità di Cure Residenziali di Mantenimento)

I percorsi che portano alle prestazioni residenziali prevedono la provenienza dell’utente dall’ospedale per acuti, da una struttura di post-acuzie o dal domicilio. L’accesso alle prestazioni residenziali dovrebbe essere regolato dai principi generali di universalità, equità ed appropriatezza. L’utente, per il quale sia individuata la condizione di non autosufficienza e non assistibilità a domicilio ha diritto di scegliere il luogo di cura nell’ambito delle diverse opzioni offerte dalle strutture accreditate con il SSN. Poiché il sistema prevede diversi livelli di intensità di cura, il diritto di accesso alle stesse dovrà essere subordinato alla verifica della effettiva appropriatezza della indicazione, sulla base di criteri oggettivi di VMD. La decisione al ricovero è assunta dall’UVT del Distretto, la cui composizione varia in base alla normativa regionale, che provvede alla valutazione del cittadino e dei suoi bisogni sanitari e sociali e dei suoi livelli di autonomia. La VMD deve essere effettuata con appositi strumenti validati per la valutazione dei bisogni sanitari, cognitivi, psicologici e sociali dell’ospite al momento dell’ammissione e periodicamente. L’attribuzione dell’ospite al corretto livello di assistenza dovrà avvenire mediante strumenti di analisi del case-mix.

Il gruppo di lavoro n. 12 del progetto Mattoni e la commissione LEA non sono riusciti a ottenere dalle regioni il consenso sull’adozione di un unico strumento di VMD e di analisi del case-mix. È stato individuato un set minimo di informazioni necessario ad alimentare il Flusso Informativo Residenziale (FAR), che rappresenta una base dati comune ai più diffusi strumenti in uso e può essere da essi alimentato automaticamente. In base al DM 17/12/2008 il flusso informativo nazionale può essere alimentato indifferentemente da uno dei tre strumenti validati dal Ministero (RUG, SVAMA, AGED), nonché da eventuali diversi strumenti già adottati dalle regioni, a condizione che per gli stessi vengano prodotti idonei file di transcodifica che ne documentino l’idoneità ad alimentare correttamente il flusso informativo nazionale (12). Non solo l’accessibilità ai servizi ma anche il livello di offerta, gli standard assistenziali e le quote di partecipazione alla spesa, sono diversi da regione a regione.

Le singole regioni applicano e misurano gli standard assistenziali secondo criteri non sempre assimilabili: gli standard di assistenza utilizzati variano in media dai 90 ai 150 minuti/die in base alla complessità assistenziale e allo standard di personale di riferimento proposto dal documento della commissione LEA (8). Nei minutaggi di assistenza vengono in genere conteggiate solo le figure di assistenza al paziente: personale infermieristico, OSS (operatori socio-sanitari) o OSSS (operatori sociosanitari con formazione complementare in assistenza sanitaria), terapisti della riabilitazione, animatori. Viene escluso dal conteggio il personale amministrativo e tecnico-logistico di supporto. L’applicazione degli standard assistenziali tiene conto del lay-out organizzativo e delle dimensioni globali della struttura. Per quanto concerne l’organizzazione, viene predisposta una modulazione per nuclei di 20 posti, in modo da consentire l’accoglienza nelle stessa struttura di persone a vario grado di non-autosufficienza e complessità clinica. L’organizzazione operativa dell’attività assistenziale è basata su organigramma, funzioni, strumenti e tempi. L’attività medica all’interno della RSA è un’attività di presa in carico sia della salute che della malattia, quindi del percorso fisiopatologico che lega malattia e disabilità, con attuazione di programmi di terapia che si integrano con i programmi di sostegno globale alla persona, attuati dalla équipe di cura (21). Nelle RSA anziani, la coordinazione dell’équipe multidisciplinare è affidata al geriatra, che è specificatamente formato per svolgere tutti i ruoli medici necessari in RSA, quindi sia quello di diagnosi e cura del singolo degente, sia quello di direzione medica e assistenziale. Rimane fondamentale il ruolo del MMG: le strutture residenziali sono infatti strutture della rete territoriale e l’assistenza medica deve essere fornita dal sistema di Cure Primarie nell’ambito di un modello organizzativo regionale che integri il ruolo del MMG all’interno della residenza secondo un modello funzionale integrato. Anche i farmaci, le prestazioni specialistiche, gli ausili e i presidi sanitari sono garantiti al paziente dal Servizio Sanitario Nazionale con modalità definite dal modello organizzativo regionale. L’assistenza infermieristica, proporzionata in base al numero dei posti letto della RSA, deve essere presente nelle 24 ore e non può essere sostituita con la reperibilità. Oltre al geriatra, all’infermiere, all’OSS, l’équipe di cura è costituita da figure professionali di base che giocano un ruolo fondamentale nella lettura e nella valutazione dei bisogni: l’assistente sociale, il terapista della riabilitazione, lo psicologo, l’educatore professionale, l’animatore, nonché il logopedista, il musicoterapeuta e il terapista occupazionale. La presa in carico è omnicomprensiva e globale e comprende il paziente e la sua famiglia.

Progettare e realizzare interventi di assistenza personalizzati sui singoli pazienti in base ai loro reali bisogni ed operare per obiettivi e non per singole prestazioni e mansioni, costituisce l’espressione principale dell’assistenza residenziale. Per garantire la massima qualità della “presa in carico” è dunque di fondamentale importanza che le professionalità coinvolte si integrino tra di loro, si coordinino e interagiscano. Risulta pertanto indispensabile dotarsi di strumenti valutativi che coprano queste diverse dimensioni e che garantiscano un intervento professionale globale ed individualizzato, contemporaneamente preventivo, curativo, riabilitativo.

A tal riguardo le RSA utilizzano un modello organizzativo che si basa sui seguenti criteri operativi:

  • Valutazione Multidimensionale Geriatrica per una adeguata e completa valutazione del bisogno. L’assessment geriatrico di base comprende la valutazione dello stato cognitivo, affettivo, comportamentale, nutrizionale, l’autonomia nelle attività di vita quotidiane e in quelle sociali e strumentali, il rischio di caduta, il rischio di sviluppare lesioni da decubito.
  • Stesura di un PAI corrispondente ai problemi/bisogni identificati attraverso la VMD.
  • Continuità dell’assistenza al paziente anche in caso di urgenze o eventi imprevisti (clinici, organizzativi, tecnologici).
  • Monitoraggio e valutazione. Gestione della documentazione sanitaria/socio-assistenziale che deve essere redatta, aggiornata, conservata e verificata secondo modalità specificate, al fine di garantirne la completezza rispetto agli interventi effettuati secondo i principi di rintracciabilità e riservatezza (privacy).
  • Efficacia, appropriatezza clinica e sicurezza. Per corrispondere a tale criterio ogni struttura residenziale è dotata dei seguenti requisiti: approccio alla pratica clinica secondo evidenze scientifiche; promozione della sicurezza e gestione dei rischi, programma per la gestione del rischio clinico e modalità di gestione degli eventi avversi; strategie sistematiche di comunicazione e di formazione e sviluppo di competenze del personale.

Nell’ultimo decennio, il costante e progressivo incremento della complessità clinica dei pazienti anziani, ha portato le RSA a vicariare la carenza di posti letto di lungodegenza e riabilitazione ospedaliera e ad affrontare processi di riorganizzazione per rispondere ad una richiesta crescente non solo di tipo socio-assistenziale ma anche di tipo sanitario. La tipologia di utenti assistiti infatti, in un tempo relativamente breve, si è notevolmente modificata con la tendenza ad un aumento dell’età media e della complessità e instabilità clinica degli ospiti, portatori di pluripatologie ed affetti da multiple disabilità funzionali.

La caratteristica progressività e variabilità dell’evoluzione di molte forme di malattia comporta un continuo embricarsi di problemi medici, sociali, psicologici, riabilitativi ed assistenziali che non possono essere affrontati separatamente ma che richiedono, al contrario, un approccio flessibile e multidisciplinare unico al fine di gestire le oscillazioni cliniche e gli scompensi funzionali, mantenere l’equilibrio tra la presa in carico del problema clinico e l’accanimento terapeutico e soprattutto migliorare la qualità di vita degli ospiti.

La complessità clinica dell’utenza, la costante ricerca di nuove strategie operative nonché l’adeguamento a standard regionali e nazionali sempre più elevati, ha delineato una fisionomia del servizio residenziale con caratteristiche peculiari ben definite, non mutuate da altri contesti di cura in grado di gestire adeguatamente la complessità del “care”.

Le modalità di erogazione delle prestazioni, integrate e personalizzate sui bisogni del singolo, si caratterizzano innanzitutto per la specificità delle figure professionali (geriatra, infermiere, assistente sociale, psicologo, educatore professionale, fisioterapista, operatore socio-sanitario, familiare) che cooperano e collaborano in un lavoro di équipe. Ogni componente svolge un compito fondamentale di comunicazione nell’ambito dell’equipe di lavoro e soprattutto nella relazione quotidiana con gli ospiti, attraverso l’osservazione e l’uso di strumenti di valutazione multidimensionale sempre più articolati e sensibili che permettano di formulare un adeguato PAI, strumento dinamico basato sulle problematiche attive e non sulle diagnosi in grado di seguire l’ospite e il mutare continuo dei suoi bisogni nel tempo.

Nel PAI sono individuati i livelli di assistenza formulati in base all’intensità delle cure necessarie, nonché gli obiettivi programmati e la previsione temporale degli stessi. Il PAI è redatto a seguito di una riunione d’équipe con il contributo di tutti gli operatori che interagiscono quotidianamente con l’ospite, al momento dell’ammissione in struttura (in genere entro i primi 15 giorni di osservazione) e periodicamente in base ad un time-line organizzativo o ogni qualvolta la variazione delle condizioni cliniche dell’ospite rendano necessario un aggiornamento del piano assistenziale in un processo dinamico che segue l’evolversi nel tempo dell’ospite e dei problemi intercorrenti. È fondamentale il coinvolgimento del familiare sia nella costruzione e nella gestione del PAI, anzi è auspicabile che il familiare sia invitato a partecipare alle riunioni d’équipe per l’aggiornamento del PAI.

Le riunioni di équipe rappresentano un momento irrinunciabile per condividere osservazioni e informazioni utili ad integrare il lavoro dei singoli, realizzando un piano di confronto orizzontale tra le diverse figure professionali. La visione geriatrica della cura ha infatti comportato il significativo passaggio dalla logica per prestazioni a quella per obiettivi che devono essere chiari, condivisi da tutta l’équipe e orientati ai risultati. La necessità di un approccio globale e complessivo da parte di tutte le figure operanti in struttura ha comportato negli ultimi anni l’affinamento degli strumenti di VMD residenziali: le scale di valutazione di prima generazione delle singole aree problematiche (cognitiva, motoria, funzionale, della comorbilità, ecc.) che tendono a scomporre il bisogno ed esprimere un giudizio finale in termini di “deficit”, sono ormai affiancate da strumenti di valutazione multidimensionale di II e III generazione che invece consentono di definire sia il fabbisogno assistenziale sia di cogliere il bisogno in termini di “capacità residue” e di “funzionamento” e di conseguenza pianificare l’assistenza individualizzata e impostare idonei interventi riabilitativi e rieducativi all’avanguardia. Lo sforzo dell’équipe diventa quello di trovare il punto di incontro tra personalizzazione e strutturazione dell’intervento che, da una parte deve rispondere ai requisiti di oggettività e riproducibilità, dall’altra non può prescindere dall’interazione col destinatario e con il suo entourage relazionale ed affettivo in un rapporto dinamico sia sul piano operativo che emotivo.

La formulazione e il rispetto di linee guida e delle procedure operative standardizzate e strutturate per ciascuna figura addetta alle principali attività mediche e assistenziali, rappresenta un costituente importante del programma assistenziale: esse, infatti, non solo consentono ai singoli operatori di applicare le procedure più corrette ed efficaci, ma altresì riducono la variabilità individuale, consentono di affrontare in modo coordinato le problematiche acute e quelle post-acute, migliorando la qualità dell’assistenza e gli outcome clinici. Le RSA sono generalmente dotate di protocolli ad hoc, che permettono una sicura e standardizzata gestione delle emergenze, anche in temporanea assenza del medico riducendo, quando possibile, il facile ricorso al ricovero ospedaliero degli ospiti, fenomeno che da una parte aggrava il funzionamento del pronto soccorso e, allo stesso tempo, è fonte di grave stress e disagio per l’ospite. Nella RSA il medico deve affrontare anche la cura del paziente terminale e i problemi etici relativi alle cure di fine vita, la gestione del dolore e le scelte terapeutiche da adottare.

Nell’ambito dell’organizzazione della RSA, una riflessione particolare merita il tema del Nucleo Alzheimer. Per Nucleo Alzheimer s’intende un’area di degenza e di vita specificamente dedicata a soggetti con disturbi cognitivi e del comportamento, strutturato in modo da costruire intorno al pazienti un “ambiente protesico” che faciliti l’orientamento e limiti le interazioni critiche tra il paziente e l’ambiente. Il Nucleo Alzheimer prevede ambienti e arredi specificamente progettati, oltre a codici colore, strumenti di controllo ambientale, e soprattutto il “giardino Alzheimer”, spazio di libero uso, ricco di stimoli sensoriali, che faciliti il controllo del wandering. Fondamentale è la formazione di uno staff specificamente preparato all’approccio e alla cura di questi malati, al fine riconoscere i disturbi comportamentali e a ricercarne le possibili cause, a mantenere il più a lungo possibile l’autonomia (10). In Italia, l’istituzione di servizi sanitari innovativi per i pazienti affetti da demenza è proceduta in modo molto timido e alcune regioni, come la Lombardia, hanno previsto la realizzazione di questi nuclei nell’ambito dell’organizzazione delle RSA.

L’ultimo report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità su Invecchiamento e Salute (22) sottolinea che l’obiettivo finale dell’assistenza a lungo termine non può essere più inteso come la semplice soddisfazione dei bisogni fondamentali, piuttosto come l’ottimizzazione della “capacità funzionale” intesa come la somma della “capacità intrinseca” dell’individuo e il “compenso ambientale”. Come per tutte le fasi del corso di vita, questo può essere realizzato attraverso due meccanismi:

  • migliorare la capacità intrinseca;
  • compensare una perdita di capacità, fornendo sostegno ambientale e la cura necessaria per mantenere la capacità funzionale ad un livello tale da garantire il benessere.

Oltre ad una più specifica formazione dell’équipe di cura, è necessario implementare e rendere operative linee guida di assistenza multidisciplinare che includano settori quali l’alimentazione, la continenza, l’attività fisica, il benessere psico-comportamentale, le capacità di funzionamento piuttosto che le sole limitazioni funzionali. Si tratta di passare progressivamente dal modello medico di erogazione del servizio, su cui le residenze si basano dalla seconda metà del 20° secolo, ad un concetto alternativo di assistenza residenziale, improntato ad approcci innovativi di integrazione, di umanizzazione e personalizzazione del care al fine di rendere i luoghi di assistenza e i programmi diagnostici e terapeutici orientati quanto più possibile alla persona, considerata nella sua interezza fisica, sociale e psicologica per migliorare le sue capacità intrinseche e la sua qualità di vita.

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Acronimi

  • ADI: Assistenza Domiciliare Integrata
  • ASL: Azienda Sanitaria Locale
  • CDA: Centri Diurni Alzheimer
  • CDI: Centro Diurno Integrato
  • FAR: Flusso Informativo Residenziale
  • LEA: Livelli Essenziali di Assistenza
  • MMG: Medico di Medicina Generale
  • OSS: Operatore Socio-Sanitario
  • OSSS: Operatori Socio-Sanitari con formazione complementare in assistenza sanitaria
  • OD: Ospedalizzazione Domiciliare
  • PAI: Piano Assistenziale Individuale
  • PSN: Piano Sanitario Nazionale
  • PUA: Punto Unico di Accesso
  • RSA: Residenza Sanitario Assistenziale
  • SR: Prestazioni Semiresidenziali
  • SRD: Prestazioni Semiresidenziali Demenze
  • SSN: Servizio Sanitario Nazionale
  • TPS: Trattamenti Psico Sociali
  • UCP: Unità di Cure Palliative
  • VMD: Valutazione Muldi-Dimensionale
  • UVT: Unità di Valutazione Territoriale

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Bibliografia

  1. Kodner D.I., Spreeuwenberg C.(2002). Integrated care: meaning, logic, applications, and implications—a discussion paper. International Journal of Integrated Care 14; 2
  2. Nuovo patto per la salute 2014-1016. Presidenza del Consiglio dei Ministri.
  3. Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale 2016-2025. GIMBE Evidence for Health. Presentato a Roma il 7 giugno 2016
  4. Ministero della Salute Direzione generale della programmazione sanitaria Testo aggiornato del decreto legislativo30 dicembre 1992, n. 502 recante: “Riordino della disciplina in materia sanitaria,a norma dell’articolo1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421
  5. Progetto obiettivo anziani “ Tutela della Salute degli anziani” (POA) 1992
  6. Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) 29 novembre 2001 di “Definizione dei Livelli essenziali di assistenza
  7. http://www.salute.gov.it
  8. Livelli Essenziali di Assistenza 2013. Commissione Nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) Ministero della Salute
  9. Mattoni del SSN. Mattone 13 – Assistenza primaria e prestazioni domiciliari 2005
  10. Quaderni del Ministero della Salute. Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza all’anziano. Dicembre 2010
  11. Osservatorio Nazionale sulla salute nelle regioni italiane. Raporto Osservasalute 2015. Roma 26 aprile 2016
  12. Mattoni del SSN. Mattone 12- Assistenza residenziale e semiresidenziale. 2007
  13. Masotti G, Biagini CA, Cester A, Enrico Mossello E. Linee di Indirizzo per i Centri Diurni Alzheimer. 4° Convegno Nazionale sui Centri Diurni Alzheimer. Pistoia, 31 maggio – 1 giugno 2013
  14. Zarit SH, Stephens MAP, Townsend A, et al. Stress reduction for family caregivers: effects of adult day care use. J Gerontol B Psychol Sci Soc Sci 1998; 53: S267-77
  15. Mossello E, Caleri V, Razzi E, Di Bari M, Cantini C, Tonon E, Lopilato E, Marini M, Simoni D, Cavallini MC, Marchionni N, Biagini CA, Masotti G. Day Care for older dementia patients: favorable effects on behavioral and psychological symptoms and caregiver stress. Int J Geriatr Psychiatry 2008;23:1066- 72
  16. Guaita A, Jones M. Il progetto Gentlecare. G.Gerontol 2000;48:781-786.
  17. Cester A, De Vreese LP, Minelli PP, Nizzardo GF, Sordina R. Spazio e Ambiente Edizioni Vega, 2000.
  18. American Psychiatric Association Work Group on Alzheimer’s Disease and other Dementias, Practice guideline for the treatment of patients with Alzheimer’s disease and other dementias, second edition. Am J Psychiatry 2007;164(Suppl 12):5-56.
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  20. Decreto del Presidente della Repubblica14 gennaio 1997.Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private
  21. Linee Guida della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia (S.I.G.G.) per le RSA
  22. World report on Aging and health. World Health Organization 2015

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