Cap. 11 – Educare alla salute il genitore con il suo bambino/ragazzo

Capitolo del Manuale per operatori “educare alla Salute e all’Assistenza”

Autori: Margherita Caroli, Elena Chiappini, Iride Dello Iacono, Giuseppe Di Mauro, Michele Fiore, Monica Malventano, Marina Picca, Laura Reali, Maria Carmen Verga

Indice

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L’EDUCAZIONE ALLA SALUTE COME CONTRASTO ALLE DISUGUAGLIANZE

Fate qualcosa, fate di più, fatelo meglio”, è questo l’invito di Michael Marmot, presidente della Commissione sui Determinanti Sociali della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS),. Il rapporto finale “Closing the Gap” del 2008 (WHO, 2008), elenca le evidenze, raccolte in tutto il mondo, sulla distribuzione delle esposizioni alle disuguaglianze di salute e sulle principali raccomandazioni per le azioni di contrasto.

Le conclusioni riportate nella pubblicazione del 2010 “Fair Society, Healthy Lives”, conosciuta come “Marmot Review” (Marmot, 2010), definiscono i principali obiettivi da raggiungere: dare a tutti i bambini il miglior inizio possibile, creare condizioni occupazionali eque e lavoro per tutti, garantire condizioni di vita sane per tutti, creare ambienti di studio, lavoro e tempo libero sani e sostenibili, incoraggiare la resilienza delle comunità, oltre che dell’individuo.

Il Piano Nazionale di Prevenzione 2014-2018 ha introdotto il contrasto alle disuguaglianze di salute come principio costitutivo della prevenzione e ha attivato percorsi di Health Equity Audit dei singoli programmi e progetti. La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici ha realizzato una formazione a distanza gratuita e ha scritto un manifesto in cui riporta le raccomandazioni pratiche per tutti i medici. Infine, nel novembre 2017, è stato redatto un documento “L’Italia per l’equità della salute” che, partendo dalle migliori evidenze scientifiche attualmente disponibili sui determinanti e sugli esiti di salute, presenta possibili strategie di intervento.

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EDUCARE ALLA SALUTE NEI MOMENTI DI PASSAGGIO: ALLATTAMENTO, SVEZZAMENTO, PRIME AZIONI, PRIME SOCIALIZZAZIONI, INGRESSO SCOLASTICO, ADOLESCENZA

In Italia il Pediatra di Famiglia (PdF) ha un ruolo strategico nella promozione delle buone pratiche per lo sviluppo, perché ha contatti precoci, visita regolarmente il bambino, raggiunge anche le famiglie a più basso reddito. Lavorando in rete con i consultori familiari, i centri per le famiglie, i nidi e i servizi educativi per l’infanzia, può avvalersi degli interventi più efficaci, quali le visite domiciliari, le guide anticipatorie, i corsi per i genitori e l’educazione prescolare.

Il contesto dei primi anni di vita influenza le capacità di apprendimento, il successo scolastico, la partecipazione economica e sociale e quindi la salute. L’Early Childhood Development (ECD) riguarda sia lo sviluppo del bambino dal periodo prenatale agli otto anni di vita, sia l’insieme degli interventi che lo favoriscono. Nel settembre 2016 è stato prodotto in Italia un documento che individua e descrive politiche, interventi efficaci e buone prassi che agiscono sull’ECD, relativi ai settori socio-sanitario e socio-educativo. I fattori protettivi dimostratamente efficaci sono:

  • la salute e il benessere della madre;
  • l’allattamento al seno;
  • un contesto relazionale di qualità;
  • uno status socio-economico adeguato;
  • la resilienza individuale e una comunità resiliente e accogliente che supporti, anche in presenza di difficoltà e avversità, la salute dei bambini e le loro famiglie;
  • gli interventi e i servizi di cura modulati sulla base dei differenti bisogni;
  • le politiche intersettoriali (sanitarie, di occupazione e lavoro, di welfare e ambientali).

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Allattamento

L’allattamento al seno nel primo anno di vita, esclusivo per i primi sei mesi, assicura una crescita, uno sviluppo psicofisico e una salute ottimali e rappresenta un intervento in cui i pediatri possono svolgere un ruolo importante di sostegno. Il mancato avvio e la cessazione precoce dell’allattamento materno hanno conseguenze sanitarie, sociali ed economiche negative per le donne, i bambini, la comunità e l’ambiente. Bassi indici di allattamento materno possono contribuire ad aumentare le disuguaglianze: in Italia allattano meno le donne residenti nelle regioni meridionali, quelle con bassi livelli di istruzione e/o socioeconomici.

Nell’art. 24 della Convenzione per i Diritti per l’Infanzia del 1989, L’UNICEF (United Nations Children’s Emergency Fund) lo definisce come un diritto della “coppia” madre-bambino e il governo italiano, dal 2015, ha istituito il Tavolo tecnico operativo interdisciplinare per la promozione dell’allattamento al seno (TAS), che sostiene l’implementazione dei percorsi “Ospedali & comunità Amici dei Bambini” e il rispetto del Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno. Un Position Statement del 2015 su Allattamento al seno e uso del latte materno, redatto da Società Italiana di Pediatria, Società Italiana di neonatologia, Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche, Società Italiana di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica e Società Italiana di Medicina Perinatale raccomanda di incoraggiare l’allattamento al seno con azioni supportate da forti evidenze.

Tra i principali ostacoli ci sono routine mediche avverse o inappropriate, scarsa competenza, marketing scorretto dei sostituti del latte materno, infine condizioni sociali e lavorative sfavorevoli. Sono invece fattori facilitanti le buone pratiche ostetriche, neonatologiche e pediatriche che assicurano la corretta informazione e il miglior sostegno alle famiglie.

L’OMS/UNICEF ha messo a punto iniziative e corsi di formazione sull’allattamento al seno per il personale sanitario. L’esempio migliore di intervento multiplo è dato dall’Ospedale Amico del Bambino in cui l’ospedale è inserito in un percorso con interventi prenatali, al parto, durante la degenza e dopo la dimissione, d’intesa con le strutture territoriali, sanitarie e non.

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Alimentazione Complementare (AC)

Per AC s’intende l’introduzione di alimenti diversi dal latte materno o di formula quando questi da soli non sono più in grado di soddisfare i fabbisogni nutrizionali del lattante. Le società scientifiche concordano nell’introdurre l’AC tra i 4-6 mesi, preferibilmente a partire dal 6°.

L’inizio dell’AC è un momento importante non solo per gli aspetti nutrizionali ma anche per quelli relazionali, perché le dinamiche comportamentali che possono caratterizzare il rapporto con il cibo tendono poi a permanere nel tempo. La raccomandazione è quindi di considerare il pasto come un momento di relazione, durante il quale il bambino deve sentirsi appoggiato, protetto, amato, rassicurato.

L’AC è una occasione importante per strutturare le preferenze dei bambini e le caratteristiche di accettazione dei cibi, perché le abitudini acquisite nella prima infanzia tendono a durare nel tempo. È bene quindi introdurre una gamma di gusti e consistenze, con più assaggi ravvicinati e ripetuti nel tempo che permettano ai bambini di imparare a sentire, gustare e riconoscere cibi, sapori e consistenze diverse, seguendo modelli alimentari sani. Questi criteri valgono anche per i bambini a rischio di patologie come allergie o celiachia: numerosi recenti lavori scientifici hanno dimostrato che non vi è alcun motivo nel ritardare o anticipare l’introduzione di alimenti allergizzanti, quali pesce, uovo e frutta secca, glutine. È consigliabile iniziare a divezzare mentre il lattante assume ancora latte materno.

È compito del PdF, nell’ambito dei Bilanci di Salute e con i criteri comunicativi delle guida anticipatorie, far conoscere ai genitori i fabbisogni nutrizionali e valorizzare il pasto come momento per far crescere la relazione genitori bambini.

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Il gioco

Attraverso il gioco il bambino sviluppa le proprie capacità, esplora l’ambiente. Rispetto al gioco i genitori devono essere sempre un supporto attivo e propositivo. L’adulto deve adattare l’ambiente, l’utilizzo degli oggetti, dei giocattoli e delle attrezzature ai bisogni evolutivi del bambino, conoscendo le fasi di sviluppo e le sue crescenti competenze, dando sempre massima attenzione alla sicurezza ed alla prevenzione degli incidenti. Possono diventare “giochi” anche le normali attività come il bagnetto. Offrire una guida anticipatoria specifica sulle attività ludiche significa, per il PdF, compiere un’altra azione a favore dello sviluppo e del benessere del bambino.

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Televisione, cellulari, smartphone e tablet

Le più importanti società scientifiche hanno stabilito che, durante i primi anni di vita, la televisione può limitare lo sviluppo verbale e le capacità relazionali del bambino. Non è stato dimostrato che anche i programmi pubblicizzati come educativi siano capaci di promuovere lo sviluppo ed il linguaggio nella prima infanzia poiché l’apprendimento si avvale di una relazione interattiva e non passiva. Solo dopo i 2 anni può essere concesso un utilizzo molto limitato (non ci sono evidenze scientifiche, potremmo suggerire orientativamente un’ora al giorno, insieme all’adulto di riferimento). La televisione, per il bambino più grande, può rappresentare anche un’interfaccia con il mondo, con culture lontane, purché i programmi siano scelti attentamente dai genitori.

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Lettura ad alta voce. L’esperienza musicale precoce

Le reti neurali si sviluppano rapidamente nei primi 2-3 anni. In questo periodo critico ci sono finestre di opportunità o di vulnerabilità a eventi avversi e carenze.

La lettura di una fiaba ad alta voce crea disposizione all’ascolto e favorisce il legame affettivo. Leggere stimola la curiosità del piccolo e sviluppa la sua capacità di attenzione. In molte città italiane, ed in tutto il mondo, sono nate iniziative che incentivano la lettura ai bambini piccoli e che fanno parte di progetti specifici, che coinvolgono associazioni di biblioteche e di pediatri (per esempio “Nati per leggere”).

Per quanto riguarda l’esperienza musicale precoce, il manifesto di “Nati per la musica” riporta che studi rigorosi hanno dimostrato che l’esperienza musicale, sin dall’epoca prenatale e nel corso di tutta l’infanzia, stimola lo sviluppo cognitivo, linguistico, emotivo e sociale del bambino e offre opportunità eccellenti per interazioni di qualità tra genitori e bambino.

È una delle attività più adatte a sviluppare le potenzialità cerebrali e deve entrare anche nei programmi educativi dei nidi e della scuola per l’infanzia, come sancito dalla convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, dalla raccomandazione del Parlamento Europeo 2006/962/CE, dal DDL 1260/14 “Disposizioni in materia di sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni e del diritto delle bambine e dei bambini alle pari opportunità di apprendimento” e dal DDL 1365/14 “Disposizioni in materia di valorizzazione dell’espressione musicale e artistica nel sistema dell’istruzione”.

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L’importanza della attività fisica libera e dello sport

L’attività fisica ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo di tutte le aree della persona, motoria, affettiva, sociale, cognitiva, relazionale e, in particolare, la promozione delle life skills: avere fiducia in se stessi, sapersi auto-valutare, gestire l’insuccesso, relazionarsi positivamente con gli altri. Nel “Global Recommendations on Physical Activity for Health” l’OMS consiglia almeno un’ora di attività fisica, in età evolutiva, suddivisa in periodi di breve durata e basata su fattori ed esigenze individuali.

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L’importanza della socialità: asili nido e scuola dell’infanzia

Un’esperienza significativa per lo sviluppo è stare con gli altri ed instaurare amicizie. Diversi studi e progetti hanno dimostrato i vantaggi della frequenza dei centri per bambini (età 0-5 anni), con curriculum strutturato, su esiti a medio e lungo termine (Abecedarian program – USA; dati INVALSI e PIRLS – Italia).

I bambini (USA) che avevano frequentato i centri dell’infanzia, rispetto a chi non lo aveva fatto, all’età di 21 anni avevano:

  • più anni di scolarizzazione
  • più probabilità di andare al college
  • più possibilità di avere un buon lavoro
  • meno possibilità di contatto con sostanze
  • minore probabilità di gravidanze precoci
  • resa per dollaro impegnato 3,23.

I dati italiani confermano la relazione positiva con i risultati scolastici, influenzati, in ogni caso, anche dal reddito e dal livello di istruzione dei genitori.

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IL PASSAGGIO AL MONDO DEGLI ADULTI: LA TRANSIZIONE DELL’ADOLESCENTE SANO E CON PATOLOGIA CRONICA

Gli adolescenti (10-19 anni), secondo dati ISTAT del 2015, rappresentano circa il 9% della popolazione. L’adolescenza è una fase critica in cui il ragazzo può arrivare a comportamenti estremi quali l’abuso di fumo, alcol e droghe, il gioco d’azzardo, il bullismo, i disturbi della condotta alimentare, le alterazioni della condotta sessuale e le malattie sessualmente trasmesse, l’uso/abuso del web, del sexting.

In letteratura vi sono pochissime indicazioni riguardo il passaggio di un adolescente “sano” dal Pediatra di Famiglia (PdF) al Medico di Medicina Generale (MMG). Si passa da un’assistenza sanitaria globale (visite ad età filtro, prevenzione, vaccinazioni, educazione sanitaria verso corretti stili di vita, etc.), ad interventi assistenziali ed approcci diversi, soprattutto per il ragazzo sano (ad esempio non sono previsti, in medicina generale, i Bilanci di Salute).

La comunicazione con l’adolescente, che deve coinvolgere anche i genitori, è fra i fattori più importanti per assicurare una buona transizione. È necessario sia creare un ambiente in cui il ragazzo si trovi a proprio agio e possa esprimere le proprie problematiche, sia avere particolare attenzione alla componente empatica (ad esempio usando il suo stesso vocabolario).

Nel 2009, nel 1° Workshop di WONCA (World Organization of National Colleges, Academies and Academic Associations of General Practitioners/Family Physicians) Italia, è stato affrontato il rapporto fra PdF e MMG nella transizione, con la stesura di un documento di consenso i cui principali punti sono, sinteticamente:

  • identificazione della presa in carico della famiglia da parte del MMG, proponendo, accanto alla cura del singolo paziente, un allargamento dell’attenzione a tutto il nucleo familiare
  • aree di intervento, che necessitano di una revisione e puntualizzazione condivisa e integrata tra MMG e PdF: Clinica, Educazione, Formazione, Organizzazione, Ricerca, Istituzionale.

Nel 2017 è stata pubblicata una Guida Pratica inter-societaria (Adolescenza e Transizione. Dal Pediatra al Medico dell’Adulto) che ha dedicato ampio spazio alle problematiche (es. sostanze d’abuso e “nuove” dipendenze, abuso di internet) ed ai vari aspetti della transizione nell’adolescente sano (comunicativi, medico-legali, preventivi quali vaccini, educazione alla sessualità, malattie sessualmente trasmesse, corretta alimentazione).

La transizione dell’adolescente con malattia cronica è generalmente intesa come il “passaggio programmato di adolescenti affetti da malattia cronica da un sistema di cure centrato sul bambino ad uno orientato sull’adulto”, un momento che presenta non poche criticità: scarsa accettazione della nuova équipe, diversi tempi di attesa e di visita, scarso dialogo e passaggio di informazioni, mancanza di spazi adeguati.

Tutto ciò si ripercuote sull’aderenza ai protocolli terapeutici, già condizionata dai comportamenti a rischio tipici dell’adolescenza.

Nel 2002, una Consensus congiunta dell’Accademia America di Pediatria, dell’Accademia Americana dei Medici di Famiglia e della Società Americana dei Medici Internisti ha sancito che il primo passo per una corretta transizione è rappresentato da un programma scritto che tenga conto di tutti gli aspetti diagnostici e terapeutici, psicologici, sociologici e familiari. I punti principali posso essere cosi riassunti:

  1. Assicurarsi che l’adolescente in fase di transizione abbia un professionista sanitario di riferimento, sia in ambito pediatrico che nell’area di cure dell’adulto, che si assume la responsabilità del coordinamento delle cure e la pianificazione futura dell’assistenza. Tale partnership deve, possibilmente, iniziare presto e deve coinvolgere la famiglia;
  2. Identificare i servizi sanitari di assistenza necessari in fase di transizione, trasferendo l’informazione all’adolescente facendolo diventare parte attiva del processo;
  3. Preparare e mantenere aggiornato un documento clinico, portatile, possibilmente accessibile “open source”, da tutti i sanitari;
  4. Creare, implementare e tenere aggiornato un programma di transizione, scritto ed affidato all’adolescente ed alla sua famiglia.

Tra i programmi realizzati in Italia, quello della Clinica Pediatrica dell’Università di Milano-Bicocca, Fondazione MBBM (Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma) con la Divisione di Pediatria, Istituto dei Tumori di Milano, prevedono l’organizzazione di un ambulatorio “POSTER” (post-terapia), l’aderenza alle Linee-Guida ed il Passaporto della guarigione, il documento che contiene la storia della malattia e i dati di terapia, da dare ad ogni paziente.

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IL SOSTEGNO ALLA FAMIGLIA DEL BAMBINO CON: ASMA, EPILESSIA, MALATTIE CRONICHE, MALATTIE RARE, DISABILITÀ GRAVI, NECESSITÀ DI CURE PALLIATIVE

Malattie croniche, disabilità gravi, malattie rare

Nessuna situazione ad alta complessità socio-sanitaria è affrontabile con semplice erogazione di prestazioni o attraverso interventi isolati, sia dal punto di vista temporale, che professionale.

L’Educazione Terapeutica (ET) condiziona la qualità delle cure, deve adattarsi alle caratteristiche (limiti/potenzialità) del paziente e svilupparsi evolutivamente nel tempo. Si tratta di un percorso, strutturato e sistematico, attuato dai medici curanti, che, partendo dall’informazione-educazione sugli stili di vita, deve progressivamente fornire una serie di competenze e di abilità al paziente ed ai caregivers, orientate verso la capacità di “fare fronte” alla malattia, verso il mantenimento dello stato di salute (self-care maintenance) e, progressivamente, verso la vera e propria autogestione della patologia (self-care management). L’ET del paziente pediatrico, ha alcune specificità, riassunte nella tabella 1.

Tabella 1
Specificità dell’Educazione Terapeutica (ET) in età pediatrica
(modificata da Colson S, 2014)

Attributi specifici dell’ET pediatrica

Esempi delle caratteristiche

Triade relazionale

  • Bambini e genitori
  • Adolescente
  • Professionisti della salute specializzati nell’infanzia
  • Relazione triangolare
  • Relazione di confidenza

Collaborazione

  • Coinvolgimento dei fratelli
  • Progetto di accoglienza individualizzato
  • Istituto di accoglienza per l’infanzia
  • Associazioni di pazienti
  • Coinvolgimento dei nonni

Adattamento di metodi e di strumenti di apprendimento

  • Adattamento dell’ET in funzione dell’età del bambino
  • Tecniche e strumenti specifici
  • ET in funzione dello sviluppo del bambino
  • Favorire la motivazione del bambino
  • Tener conto della capacità di apprendimento del bambino
  • Durata dell’attività variabile

Acquisizione evolutiva delle capacità e delle competenze del bambino

  • Ciclo evolutivo dei programmi di ET
  • Elenco delle competenze da acquisire a livello scolare in base all’età per:
    • mucoviscidosi
    • allergie alimentari
    • dermatite atopica
    • diabete di tipo 1

Strategie e strumenti di apprendimento creativi

  • Attività ludiche
  • Giochi di ruolo/simulazioni
  • Mezzi informatici/internet
  • Promozione dell’interattività
  • Creatività dei professionisti dell’ET

In Italia le esperienze di ET nelle cure primarie in età pediatrica non sono molto numerose, verosimilmente per carenza di specifica formazione in materia e per la difficoltà di lavorare in reti multidisciplinari. Laddove queste esperienze sono state realizzate i risultati sono positivi. È anche difficile reperire un adeguato reporting delle esperienze realizzate.

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Asma bronchiale

Un problema comune nei pazienti asmatici è la scarsa compliance terapeutica, in particolare una scarsa adesione alla terapia antiasmatica per via inalatoria con percentuali che oscillano tra il 24 ed il 69%. La compliance può essere influenzata da fattori di varia natura: numero di farmaci prescritti, frequenza delle dosi, durata della terapia, interferenza con le abitudini di vita del bambino, effetti collaterali dei farmaci, ma anche la scarsa conoscenza che il paziente ha della malattia e del suo trattamento e, soprattutto, la mancanza di un piano terapeutico scritto che sia adeguato e condiviso dal paziente e dalla sua famiglia.

Gli interventi educativi sull’asma limitati a fornire solo informazioni non riducono la morbilità e non migliorano la gestione della malattia. I programmi educativi devono utilizzare teorie comportamentali che prendano in esame le conoscenze, i bisogni, gli obiettivi del paziente e definiscano i contenuti da sviluppare, le tecniche e i metodi più idonei per raggiungere tali obiettivi. Gli interventi educativi più efficaci sono quelli collettivi, con corsi organizzati in più sessioni, a piccoli gruppi, per favorire la socializzazione, lo scambio di esperienze e l’apprendimento insieme. L’intervento individuale può essere utilizzato in situazioni particolari. Esistono, inoltre, anche sistemi educativi di autoapprendimento: libri, opuscoli, video.

Le Linee Guida raccomandano che l’educazione sanitaria venga svolta in tutte le strutture che si occupano di asma, al momento della diagnosi e ad ogni visita di controllo e che sia orientata a discutere sulla malattia e sui farmaci in grado di controllarli, anche se non esiste un programma di ET ideale e valido per tutti i bambini e ragazzi, data l’eterogeneità dell’età, delle caratteristiche cliniche e familiari e dei livelli di gravità nei singoli pazienti. Gli educatori sono, in genere, medici ed infermieri esperti in asma, ma anche dirigenti scolastici ed insegnanti. Nel 2011 sono state pubblicate le “Raccomandazioni sulla gestione del bambino allergico a scuola”, della Società di Allergologia ed Immunologia Pediatrica e di FEDERASMA (FederAsma e Allergie Onlus – Federazione Italiana Pazienti) che, oltre alle raccomandazioni sulla gestione dell’attacco acuto, raccolgono anche le indicazioni relative all’integrazione ed alle performance sportive.

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Obesità

Riportiamo l’esperienza di un progetto di basso costo, bene accetto ed efficace, realizzato dal 2013 in Val Camonica: il Progetto “Vivere in salute, Educare al benessere”. È costituito da 3 momenti (una visita iniziale, un incontro educativo di gruppo con i genitori ed una rivalutazione), seguiti da 2 visite nel primo anno e quindi da un colloquio annuale. Dopo un percorso di formazione di 16 ore, basato sui principi dell’ET, dell’Empowering e del Counselling Motivazionale, sono stati organizzati, in diverse sedi, 2 incontri di gruppo per le famiglie con team multidisciplinari e un pomeriggio di attività motoria e merenda sana per bambini, familiari e amici. I risultati a breve (10 mesi) e lungo termine (3 anni) sono stati a favore di questo tipo d’intervento, rispetto alla sola dietoterapia. Sono stati quindi avviati progetti di formazione, per operatori di 1° e 2° livello, in particolare pediatri e medici di famiglia che possono fare diagnosi precoci e iniziare un percorso terapeutico.

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Epilessia

Dal novembre 2015 è partito a Padova il “Progetto Scuole”, che si inserisce nel filone più ampio del progetto “Percorso Epilessia”. Si tratta di una serie di incontri formativi di un’ora nelle scuole del Provincia di Padova per fornire utili informazioni su una malattia che si manifesta nel 60% dei casi nell’età della scuola dell’obbligo e sulla gestione della crisi epilettica. Il Percorso prevede inoltre un modello di rete integrata dei servizi sanitari, educativi e sociali per garantire un percorso appropriato e omogeneo, con il coinvolgimento di professionisti della sanità, della scuola, del sociale, delle famiglie e delle associazioni laiche, attraverso la condivisione di percorsi diagnostico-terapeutici, procedure tecnico-assistenziali e modalità di presa in carico multidisciplinare negli ambulatori di attività integrata di Epilettologia Pediatrica di I livello delle USL.

La valutazione di efficienza e di efficacia della rete avviene attraverso l’aggiornamento dei numerosi indicatori di validità, quali, per esempio, il numero di ricoveri per convulsioni febbrili semplici o crisi epilettiche non complicate, il numero accessi al pronto soccorso, il numero di visite ambulatoriali presso il centro specialistico.

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Autismo

Dopo la Legge sull’autismo, oltre all’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio dei Disturbi dello Spettro Autistico, si sta costituendo in Italia, sotto l’egida dell’Istituto Superiore Sanità, la Rete pediatria-neuropsichiatria infantile per la diagnosi precoce dei disturbi del neurosviluppo, che prevede la costituzione di un raccordo formalizzato tra pediatri di famiglia e servizi di neuropsichiatria infantile per operare attività di sorveglianza e di screening dei disturbi del neurosviluppo, al fine di superare le disomogeneità assistenziale e di garantire interventi terapeutici tempestivi. L’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio dei Disturbi dello Spettro Autistico si propone di realizzare prioritariamente il consolidamento dei raccordi tra i vari settori della rete sanitaria, con metodologie organizzative che sostengano la presa in carico sanitaria e i percorsi di precoce inserimento educativo nella scuola dell’infanzia. In un convegno sono stati definiti: il razionale scientifico e i modelli operativi; sono stati identificati alcuni degli strumenti specifici e/o specialistici per la sorveglianza del neurosviluppo e per la diagnosi precoce dei disturbi del neurosviluppo e dello spettro autistico, alcuni degli interventi abilitativi e riabilitativi; le strategie di comunicazione con la famiglia; le caratteristiche del percorso di diagnosi e valutazione.

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Dermatite atopica

La Consensus Conference Italiana su “La gestione clinica della dermatite atopica in età pediatrica”, specificamente centrata sui pazienti in età evolutiva, prevede un modello ideale d’intervento di ET (figura2), comprendente un colloquio psicologico ad orientamento educativo, anamnesi e valutazione clinica, schede di valutazione per il paziente e per la famiglia, strategie di coping. Vengono presentate tecniche utili alla gestione dei sintomi prurito e alterazione del sonno. A questa prima fase dell’ET può seguire la fase di approfondimento psico-diagnostico per il paziente e i genitori.

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Esperienze di sostegno alla genitorialità nella terapia del dolore e nelle cure palliative pediatriche

In Italia la legge del 15 marzo 2010 n°38 ha definito il percorso assistenziale del malato che accede alle cure palliative e alla terapia del dolore, stabilendo reti separate per l’adulto e per il bambino, data la peculiarità delle caratteristiche e dei bisogni in età evolutiva. Più dell’80% dei ricoveri pediatrici sono dovuti a patologie che presentano anche dolore.

In ambito territoriale, a dolori banali si affiancano anche dolori acuti meno banali, come il dolore postoperatorio a domicilio e il dolore da procedura invasiva, oppure il dolore cronico-ricorrente, per esempio cefalea, dolori addominali ricorrenti o dolore da patologia, oncologica, che si stima colpisca dal 10% al 15% dei bambini.

Esistono scale/metodi diversi in grado di indagare in maniera efficace e validata l’entità del dolore. Le tre scale algometriche più indicate per la valutazione del dolore da 0 a 18 anni sono:

  • Scala FLACC (Neonato e bambino in età pre-verbale <3 aa.)
  • Scala Wong-Baker (Bambino > 3 anni)
  • Scala numerica Bambino di età > 8 anni.

L’approccio antalgico richiede un intervento terapeutico individualizzato, multispecialistico e globale, con farmaci e metodiche non farmacologiche (di supporto, psico-relazionali, fisiche). La rete del dolore prevede due livelli assistenziali:

  • Livello specialistico per situazioni molto complesse (20-30%)
  • Livello generale di gestione del dolore pediatrico (PdF e personale delle strutture di 1° livello).

Il Centro di riferimento in genere si identifica con l’Hospice pediatrico. A 7 anni dalla Legge 38, dopo il Veneto, in 14 Regioni è stata deliberata l’organizzazione di una rete regionale del dolore ed in 6 è stata attivata ed è funzionante. Nell’ambito della formazione è stato approvato dal Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca un percorso specialistico (master di 2° livello) per medici pediatri e continua il Progetto “Niente Male Junior” del Ministero della Salute, per la formazione di oltre 300 pediatri formatori. A livello di informazione pubblica dal 2014 sono in via di sviluppo campagne di informazione pubblica.

Le cure palliative pediatriche (CPP) sono l’attiva presa in carico globale del corpo, della mente e dello spirito del bambino che non può guarire e comprendono il supporto attivo alla famiglia. Hanno come obiettivo la qualità della vita del piccolo paziente e della sua famiglia e il domicilio rappresenta, nella stragrande maggioranza dei casi, il luogo ideale di assistenza e cura. Le cure terminali non sono le cure palliative, ma le cure palliative comprendono le cure della terminalità. Le persone in età pediatrica sperimentano tutte le problematiche cliniche, psicologiche, etiche e spirituali che la malattia grave e irreversibile e la morte comportano. In Italia si stimano più di 30.000 bambini eleggibili alle CPP e si calcola che per ogni bambino malato più di 300 persone intorno a lui modificano la loro vita.

Le CPP sono una terapia ad alta complessità assistenziale. La rete delle CPP è normata dalla legge n°38 e prevede 3 livelli:

  • 1° livello di richiesta assistenziale -approccio palliativo: per patologie relativamente frequenti e meno severe, applicabile da tutti i professionisti della salute
  • 2° livello –intermedio- cure palliative generali: situazioni che richiedono l’intervento di professionisti delle reti ospedaliere e territoriali, con esperienza e preparazione specifica in CPP
  • 3° livello -cure palliative specialistiche: situazioni più complesse, che richiedono l’intervento continuativo di professionisti esclusivamente dedicati alle cure palliative pediatriche operanti in équipe multiprofessionali specifiche.

In Italia alcune esperienze regionali (in Liguria, Lombardia, Veneto) stanno dimostrando la fattibilità e la bontà di modelli assistenziali basati sull’organizzazione in rete dei servizi. L’intervento del team coinvolge necessariamente l’intera famiglia, in quanto la diversa progressione della malattia è correlata con le diverse modalità con cui la famiglia risponde alla malattia: dalla accettazione alla negazione e alla rabbia.

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Prevenzione ed educazione terapeutica delle malattie sessualmente trasmesse

Nella definizione di “Malattie Sessualmente Trasmissibili (MST)” si includono oltre 30 diverse infezioni contratte per via sessuale. L’OMS stima che in tutto il mondo oltre 500 milioni di persone ogni anno contraggano una MST ed in particolare circa il 50% di tutti i nuovi casi vengono diagnosticati in età adolescenziale/giovane adulta. In Italia, circa il 19,5% dei nuovi casi di MST è diagnosticato nei giovani fra i 15 e i 25 anni, età in cui tendono ad assumere comportamenti a rischio.

La “Dichiarazione sulle Determinanti Sociali della Salute”, promossa OMS nel 2011, pone un’attenzione particolare verso le fasce deboli. Il Programma Europeo per la Salute 2008-2013 fa particolare riferimento ai giovani. Le strategie devono tener conto delle categorie particolari cui sono rivolte, incoraggiare la parità tra i sessi e rispettare pienamente le diversità culturali.

L’educazione sessuale dovrebbe garantire una formazione globale della persona, attraverso modalità di azione che coinvolgano famiglia, scuola, parrocchie, centri socio-sanitari. Nel nostro Paese, oltre alla popolazione giovanile, è vulnerabile anche la popolazione immigrata. In ogni caso, sono fondamentali il supporto e l’accettazione famigliare, ma anche le opinioni dei coetanei, che diventano il gruppo di riferimento nei casi in cui la comunicazione con la famiglia risulti difficile od impossibile, o la dominanza di uno dei due partner, solitamente quello di sesso maschile.

Per potenziare il contrasto a queste patologie il Ministero della Salute ha emanato le seguenti raccomandazioni:

  • informare la popolazione sulle presentazioni cliniche delle MST e sulle possibili complicanze e sequele di queste patologie;
  • sensibilizzare la popolazione alla necessità di rivolgersi quanto prima al proprio medico di fiducia;
  • educare all’uso del condom, non solo come mezzo anticoncezionale;
  • promuovere l’effettuazione del test anti-HIV in tutti i soggetti affetti da una MST;
  • aumentare e facilitare l’offerta dei test di diagnosi per identificare anche i casi asintomatici.

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Le società scientifiche e l’educazione alla salute.

L’esperienza della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale

(SIPPS)

La SIPPS è una società scientifica pediatrica generalista che ha come principale ambito d’interesse la prevenzione e la medicina sociale dell’età evolutiva.

Tra gli altri, obiettivo primario della SIPPS è sempre stata l’implementazione delle raccomandazioni e delle buone prassi, problema talmente rilevante che, nell’ambito della Cochrane, è stato istituito uno specifico gruppo (EPOC – Effective Practice and Organization of Care) che pubblica periodicamente revisioni sistematiche sull’efficacia delle diverse strategie.

Per la SIPPS i destinatari dell’implementazione non sono solo gli operatori sanitari ma gli stessi pazienti e le loro famiglie.

A tal fine, sono state sviluppate diverse strategie d’intervento:

  1. la scelta delle tematiche: particolare attenzione è posta a quelle di maggiore e più attuale interesse, dagli antibiotici all’alcol, dall’influenza ai giocattoli sicuri, ma anche bullismo, cyberbullismo;
  2. l’advocacy presso i decisori, istituzionali e non: La SIPPS ha promosso importanti progetti e protocolli d’intesa, come “Mi Voglio Bene”, progetto di prevenzione primaria dell’obesità infantile, per il quale è stata insignita del titolo di Eccellenza 2011 dall’Italian Public Affairs Awards;
  3. la costante presenza sui media nazionali e locali, curata da un ufficio stampa;
  4. l’organizzazione di eventi con bambini, genitori, insegnanti, la sistematica partecipazione delle realtà sociali a tutti i congressi nazionali della Società;
  5. la pubblicazione di Guide e Manuali a carattere divulgativo, ma sempre di assoluto rigore scientifico, liberamente accessibili nell’Area genitori del sito della SIPPS, come la recentissima “Guida pratica per i genitori – Il bambino nella sua famiglia”.

La SIPPS si propone attivamente come supporto per una genitorialità consapevole, promuovendo l’alleanza della famiglia con il proprio pediatra, punto di riferimento principale per la salute del bambino.

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Glossario
  • AC: Alimentazione Complementare
  • CPP: Cure Palliative Pediatriche
  • CPP: Cure Palliative Pediatriche
  • ECD: Early Childhood Development
  • ET: Educazione Terapeutica
  • FEDERASMA: FederAsma e Allergie Onlus
  • FLACC: Faces, Legs, Activity, Cry and Consolability
  • LG: Linee Guida
  • MBBM: Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma
  • MMG: Medico di Medicina Generale
  • MST: Malattie Sessualmente Trasmissibili
  • OMS: Organizzazione Mondiale della Sanità
  • PdF: Pediatra di Famiglia
  • POSTER: Post Terapia
  • SIPPS: Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale
  • TAS: Tavolo tecnico operativo interdisciplinare per la promozione dell’allattamento al seno
  • UNICEF: United Nations Children’s Emergency Fund – Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia

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Bibliografia

“L’assistenza alla famiglia. Il rapporto fra Pediatra di famiglia (PdF) e Medico di Medicina Generale (MMG): discontinuità, contiguità o progetto condiviso?” WONCA 2009 (http://www.coordinamentowoncaitalia.it/blog-post/1-workshop-di-wonca-italia/)

AICE Padova. Percorso epilessia. Promozione di un modello di rete che favorisca l’integrazione dei servizi sanitari, educativi e sociali forniti alla persona con epilessia. http://www.aicepadova.it/percorso-epilessia/

Autori vari (2017). Guida Pratica intersocietaria. Adolescenza e transizione dal pediatra al medico dell’adulto. Sintesi Infomedica, 2017

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Brenna E, Di Novi C. Infezioni Sessualmente Trasmissibili: Il Ruolo delle Educazione e delle Condizioni Socio-Economiche. http://www.coripe.unito.it/Portals/0/EeS/21_1_dinovi.pdf

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WHO (2008). V Commission on Social Determinants of Health. Closing the gap in a generation. Health equity through action on the social determinants of health. FINAL REPORT

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